Cronaca

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Una muraglia di container lo circonda su una banchina deserta, 250 metri di area sterile per evitare ogni contatto vista la sua radioattività. Tra i lavoratori del Vte di Voltri c’è paura, apprensione perché il contenitore pericoloso doveva essere smaltito, ma è ancora lì.  La storia ha inizio due mesi fa.  E’ il 20 luglio, al  porto Vte terminal Europa di Voltri i controlli di routine segnalano tracce di radioattività su un container arrivato dall’Iran attraverso gli Emirati Arabi e con scalo intermedio a Gioia Tauro. E’ indirizzato ad una società di Alessandria e dovrebbe contenere rame da riciclo. Gli uomini del nucleo speciale dei vigili del fuoco accertano nel cuore del container la presenza di cobalto 60. Dal centro del contenitore si sprigiona una intensità di nano curie di almeno 120 volte superiore a quella tollerata. Scatta l’allarme. il container viene isolato in una banchina del Vte e circondato da una muraglia di container che facciano da cuscinetto. La Vte Spa che gestisce lo scalo non rilascia dichiarazioni e impedisce la ripresa di immagini dell’area dall’interno. Scattano le indagini e ci sarebbe un primo indagato. Ma scatta soprattutto l’allarme, tra i lavoratori che sarebbero venuti a contatto con il container. Tre di loro infatti per trasferirlo sarebbero stati vicino alle radiazioni. I sindacati proclamano uno sciopero di 24 ore per il 9 agosto perché il lavoratori non sarebbero stati informati. La Vte Spa replica facendo sapere che tutto si è svolto in sicurezza. Al momento non si hanno notizie di contaminati, ma restano tanti interrogativi.  Cosa c’è davvero in quel container? Che rischio si corre? Perché a distanza di due mesi non è stato ancora rispedito indietro? Che rischi corrono i lavoratori, la popolazione e chi dovrà smaltirlo? Perché il Vte non parla?