Il tema della riforma della Giustizia continua ad essere di grande attualità, essendo palese la necessità di interventi per renderla efficiente e perché, allo stato, nonostante le molte parole nulla sembra essere stato fatto in concreto. Tra i molti argomenti si torna a parlare delle registrazioni telefoniche; sull’argomento mi pare che debbano essere fuori discussione alcuni punti, mentre altri debbano essere oggetto di approfondimento nel tentativo di trovare valide soluzioni. E’ innanzitutto certo che le registrazioni telefoniche costituiscano valido e insostituibile mezzo per la lotta contro il crimine e che, pertanto, sia pur nei limiti posti dalla legge per quanto concerne i reati per cui ammetterle ( art. 266 C.P.P.) e l’autorità che deve autorizzarle (art. 267 C.P.P. ), devono essere consentite, mentre, al contempo, deve essere punito ogni abuso, cioè l’effettuazione di registrazioni al di fuori dei casi previsti dalla legge (art. 617 C. P.).
L’art. 15 della Costituzione sancisce che la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili e che la loro limitazione può avvenite soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge.
E’ del pari certo che, per il disposto dell’art. 684 C.P., costituisce reato (sia pure di natura contravvenzionale) la pubblicazione di atti o documenti di un procedimento penale di cui sia vietata per legge la pubblicazione e non v’è dubbio che le registrazioni telefoniche, in tutto o in parte, anche per riassunto o a guisa di informazione, costituiscano atto di procedimento penale di cui, ai sensi dell’art. 114 C.P.P. è vietata la pubblicazione, quanto meno sino a che non siano concluse le indagini preliminari, ovvero sino al termine dell’udienza preliminare. Tali essendo le norme cui deve farsi riferimento per giudicare sulla legittimità della pubblicazione di intercettazioni telefoniche, risulta palese che esse sono stata frequentemente violate La violazioni delle citate norme può comportare non solo un danno in ordine all’efficacia e il corretto svolgimento delle indagini giudiziarie, ma altresì, frequentemente, una violazione del diritto alla privacy dei soggetti intercettati e, talora, avere anche conseguenze su vicende socio-politiche ( basti ricordare il caso Mastella che ebbe riflessi sulla crisi del governo Prodi). Il rispetto e la repressione della violazione delle normativa vigente dovrebbe pertanto imporsi. Per contro si assiste a frequenti violazioni di tale normativa senza che trovino applicazione le norme che prevedono la punizione di tali comportamenti , pur integrando essi reato perseguibile di ufficio.
L’esercizio dell’azione penale compete ovviamente alle Procure della Repubblica presso i distretti giudiziari nel cui ambito territoriale si è verificata la arbitraria pubblicazione. Vero è che può risultare difficoltosa l’indagine per identificare il soggetto che ha divulgato le notizia dell’intercettazione che non doveva essere pubblicata; per altro è certo l’organo di stampa che ha effettuato la arbitraria pubblicazione e di esse dovrebbe rispondere, secondo la legge, il direttore responsabile di quell’organo, ai sensi dell’art. 57 C.P. Non mi consta che ciò sia frequentemente avvenuto e la omissione dell’esercizio dell’azione penale non può che addebitarsi alle Procure che avrebbero dovuto intervenire. Non intendo con ciò far risalire tali comportamenti omissivi ad intendimenti politici, orientati a danneggiare o a favorire questo o quel soggetto dalla politica nostrana; mi limito a constatare un comportamento oggettivo che può trovare spiegazioni diverse da quelle di natura politica: ad esempio, il timore dello scontro che, con la incriminazione del direttore responsabile di un giornale, si determina con un potere forte come la stampa e la preferenza per il quieto vivere; o anche una non chiara percezione del danno che il mancato esercizio dell’azione penale determina sul costume e sui rapporti tra le istituzioni : invero la mancata punizione della arbitraria pubblicazione di registrazione telefonica determina un circolo vizioso di impunità tra coloro che illecitamente divulgano la notizia e chi illecitamente la pubblica, nell’interesse dei primi che certamente qualche vantaggio (economico o non economico) ne traggono e dei secondi certamente avvantaggiati per lo scoop giornalistico.
Si crea quindi un circuito di impunità che si consolida e che la incriminazione del direttore responsabile del giornale varrebbe ad infrangere. Chi, infatti, divulgherebbe il contenuto dell’intercettazione se sapesse che la notizia divulgata non verrà pubblicata e quindi non sarà remunerata? Individuata pertanto nella Procura della Repubblica competente per territorio la responsabilità per il mancato esercizio dell’azione penale, quanto meno nei confronti dei direttori responsabili dei giornali in caso di violazione dell’art. 684 C.P. (per la quale, come da taluno proposto, sembrerebbe auspicabile un aggravamento della pena, per evitare che essa perda efficacia deterrente, essendo ad essa preferibili i vantaggi derivanti dalla violazione), parrebbe essere compito del Ministro della Giustizia, dopo un approfondito accertamento dei casi in cui le violazioni della norma si sono verificate, l’adozione delle opportune misure volte ad impedire il ripetersi degli illeciti, a cominciare dalla segnalazione dei fatti accertati al C.S.M. per l’adozione dei provvedimenti disciplinari di competenza. Tutto ciò sembra corrispondere all’esigenza che sia rispettata la legalità che è il presupposto indispensabile per una civile convivenza , rispetto che, forse, renderebbe superflua la modifica delle attuali disposizioni (fatta eccezione per la entità della pena) per ciò che concerne il tema delle intercettazioni telefoniche.
*Presidente onorario aggiunto della Corte di Cassazione, già componente del C.S.M.
IL COMMENTO
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