Cronaca

3 minuti e 8 secondi di lettura
Uno dei nostri problemi più seri è quello di essere e vivere un Paese bloccato, dove gli ascensori sociali, dall’università al lavoro, funzionano sempre meno. Un Paese in cui tanti giovani (la disoccupazione giovanile è arrivata a sfiorare il 30%) e le loro famiglie si sentono smarriti, incapaci di immaginare il proprio futuro. Un allarme lanciato da Italia Futura due anni fa, quando decise di caratterizzare la sua prima uscita proprio con una campagna sulla mobilità sociale. Proprio per la consapevolezza dell’importanza di questi temi fa rabbia dover constatare non solo che questo governo ha fatto poco o niente per affrontare questi nodi, ma che con quest’ultima manovra c’è il rischio concreto che la situazione andrà peggiorando. La mobilita sociale è un fenomeno complesso, che si poggia su due pilastri. Da un lato sulla possibilità di accedere agli strumenti che consentono di imparare, crescere e prepararsi al mercato del lavoro. Dall’altro sul potersi affermare in questo mercato sulla base delle proprie capacità e non per la “casta” di appartenenza. La prima condizione si sostiene con politiche sociali, di istruzione e welfare, la seconda con regole che supportino una concorrenza effettiva e trasparente nelle attività economiche e che eliminino i protezionismi che favoriscono categorie e poteri consolidati. Ecco, la manovra che in queste settimane si sta configurando, tra molta confusione, colpi gobbi e repentine retromarce, come bene illustrava ieri Mario Paternostro tanto da costringere l’Europa ad un sommesso richiamo sugli impegni assunti in materia di interventi strutturali, è un disastro su entrambi questi aspetti. Sul fronte delle politiche sociali sferra a un duplice attacco alle famiglie e ai ceti più deboli: uno diretto che andrà a peggiorare i loro redditi con i tagli alle agevolazioni fiscali (da quelle sulla prima casa e sugli affitti, alle detrazioni per figli a carico, spese mediche, badanti, asili e così via), e uno indiretto, che attraverso i tagli agli enti locali li penalizzerà con una diminuzione di servizi importanti, dall’assistenza all’infanzia e agli anziani, ai disabili. Per i giovani, e soprattutto per i bambini che nasceranno e vivranno i loro primi anni di infanzia in questi contesti, l’effetto della manovra lascerà segni che si trascineranno molto più a lungo dell’orizzonte triennale della manovra stessa, e sui quali sarà più difficile e anche più costoso intervenire “a posteriori”. Le modalità e criteri di questi tagli sono ancora ignoti: la delega fiscale che dovrebbe definirli è ancora in alto mare, e, se tale delega non venisse varata entro settembre, i saldi previsti verranno coperti con tagli lineari del 5% nel 2013 e del 20% nel 2014, così come previsto dalla “clausola di salvaguardia”. Sull’altro fronte, quello dell’accesso al lavoro e alle professioni non è stato fatto niente. Per non parlare della liberalizzazione delle professioni, raccolta in un fumoso articolo in cui ogni riforma degli ordini viene demandata ad un provvedimento da adottare entro un anno, per il quale vengono indicati dei principi ispiratori. E se in questo anno non si farà la riforma? In tal caso non è prevista nessuna “clausola di salvaguardia” come per le agevolazioni. Se non si farà niente, non succede nulla, la riforma si potrà fare dopo un altro anno, o due, o quando sarà comodo, con calma. Un’astuta formula che serve a dire “abbiamo fatto qualcosa” senza aver, di fatto, cambiato niente di ciò che doveva esser cambiato. Come nelle nostre più radicate “tradizioni e contraddizioni”.

Segui ITALIA FUTURA LIGURIA

* Direttore Italia Futura Liguria