Attualità

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di Renzo Rosso*

Come tanti baby boomer genovesi, ho vissuto la grande alluvione del XX secolo, 55 anni fa, con la pala in mano. Un anno dopo, la Commissione Ministeriale per la Sistemazione dei Corsi d’Acqua del territorio Genovese Interessati dall’Alluvione, dava risposte pronte e certe: l’evento era “non improbabile”,  i ponti, d’allora in poi, sarebbero stati a unica campata, la difesa idraulica della città era una priorità nazionale. A questo scopo, la Commissione aveva studiato quattro soluzioni: canale scolmatore in galleria, invasi artificiali regolati da grandi dighe, rifacimento della copertura fascista della Foce palesemente insufficiente, demolizione della copertura stessa e delle costruzioni in fregio al fiume sepolto. E aveva concluso che lo scolmatore sub-collinare era l’unica soluzione realmente fattibile.

Alla fine degli anni ’80 del secolo scorso, la soluzione in galleria fu estesa alla parziale deviazione del torrente sul modello spagnolo di Valencia, tramite una coppia di fornici.

Prevedevamo, allora, di costruire a monte anche una decina di piccoli invasi selettivi, utili a salvaguardare l’opera di valle dal pericolo di ostruzioni dovute ai detriti arborei. Cantierata per le Colombiadi del 1992, l’opera naufragò quasi subito. E finì dimenticata, nonostante l’alluvione del 1992, quando l’arbitro Baldas, appollaiato su un tavolo dello spogliatoio di Marassi, invaso dall’acqua, aveva chiesto il conforto del cavaliere Berlusconi sulla sospensione della partita tra Sampdoria e Milan.

Dopo altri studi, noti a livello internazionale, il Piano di Bacino ribadì la necessità dello scolmatore. L’importanza di mettere in cantiere l’opera fu salutata da un largo consenso, politico, tecnico e amministrativo. Lo stesso consenso che la custodì per molti anni nel cassetto. Raramente la politica antepone l’importante all’urgente. Inaugurare una galleria idraulica è meno seducente che tagliare il nastro di un nuovo ponte. Se la galleria non funziona, si corrono seri guai giudiziari. Se funziona, nessuno se ne accorge, perché la gente concepisce il rischio alluvionale solo con l’acqua alla gola.

L’acqua alla gola non si fece attendere, sia nel 2011 sia nel 2014. Dopo molte perplessità e resistenze, più a livello locale che nazionale, l’unità di missione #italiasicura finanziò non solo il progetto esecutivo, ma anche la costruzione dello scolmatore. Narra il sito web comunale sull’opera che il progetto fu consegnato nel novembre 2017.

 

Il cronoprogramma prevedeva 1395 giorni di cantiere a partire dai primi mesi del 2019, meno di quattro anni, secondo quanto dichiarò il governatore della Liguria a Il Secolo XIX il 27 luglio 2018.

Oggi, la talpa del Bisagno dorme in porto ad Alessandria d’Egitto, dopo aver circumnavigato l’Africa. Il tunnel boring machine (TBM) è una normalissima fresa meccanica a piena sezione, utile a “fare presto”. Non una novità tecnologica, giacché il primo scudo di perforazione data 1825, ideato da Sir Brunel per la galleria sotto al Tamigi (Fig. 3).

 

 

In Italia lavorano oggi circa 40 talpe, talora assai più complesse e imponenti di Godot, come battezzerei la TBM che presto approderà a Genova, degna di un’accoglienza in stile Boccadirosa. Anche per scavare il tunnel sub-portuale servono le TBM, ma senza tanta pubblicità. E se volete comprarne una di medie dimensioni, potete visitare alibaba.com.

Lo scolmatore fu annunciato nel 1971, iniziato per pochi metri nel 1992, approvato con il Piano di Bacino del 2001. I lavori furono finanziati dal Governo Renzi (2014-2016) e il progetto esecutivo reso nel novembre 2017. L’appalto fu aggiudicato nel giugno 2020, secondo quanto dichiarò con soddisfazione l’Agenzia per la Coesione Territoriale. Il tempo tra il dire e il fare non è stato brevissimo, nonostante l’acclarata “improrogabile necessità di realizzare un’opera atta a mitigare l’altissimo e inaccettabile rischio idraulico dell’area urbana di Genova”. Un destino cinico e baro antepone il “non fare” al “fare”, nonostante un (apparente) consenso, unanime e incondizionato sul “si ha da fare”.

Se realizzato da cronoprogramma, lo scolmatore sarebbe stato battezzato dalla piena dell’autunno scorso. “Data l’improrogabile necessità di realizzare un’opera atta a mitigare l’altissimo ed inaccettabile rischio idraulico dell’area urbana di Genova, si prescrive, come suddetto, la predisposizione di un attento e dettagliato piano di gestione dell’opera”, recita il Parere unanime del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici reso il 27 luglio 2018. E, “a tal fine, si ritiene opportuno l’istituzione di un organismo ad-hoc che si occupi integralmente dell’amministrazione, della gestione, del controllo, della pulizia e della manutenzione dell’opera, attivo senza interruzioni anche per la gestione delle emergenze”. La gestione non è soltanto una questione idrologica e idraulica nel paese dove la manutenzione è ai minimi storici, ma dovrebbe traguardare anche un disegno urbano coerente.

Se realizzato a dovere assieme alle opere accessorie di difesa dal flottante, lo scolmatore aprirebbe nuove prospettive all’intera valle. Prima di tutto, la portata residua dovrebbe transitare sotto i ponti esistenti senza doverli abbattere e ricostruire “a campata unica”. Inoltre, lo scolmatore renderebbe fattibili alcune infrastrutture di trasporto essenziali come le linee tranviarie dalla Foce a Prato, a correre perfino su entrambe le sponde. Studi precedenti e successivi al Piano di Bacino mettevano in luce la possibilità di regimare l’alveo in coerenza con le portate da smaltire e con la mobilità sostenibile, in un quadro naturalistico di pregio.

Su queste basi, le proposte dei miei studenti presentate quasi 10 anni fa a Palazzo Ducale, avevano destato un certo interesse. Erano parecchio belle. Alcune erano ispirate alla qualità funzionale ed estetica della Coulée Verde e Blu di Nizza.

Se fossi il nuovo sindaco, non scarterei a priori la possibilità di collegare promenade e waterfront di levante con il Cimitero Monumentale e l’Acquedotto Storico attraverso un percorso sostenibile, sia sotto il profilo del paesaggio, sia sotto quello della mobilità.

Renzo Rosso, professore ordinario di Idrologia e Costruzioni Idrauliche al Politecnico di Milano

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