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Il racconto del fondatore dell'asssociazione antimafia: tutto nasce da un post su Facebook dove viene utilizzata l'espressione 'uvu', che richiama il voto di scambio e secondo Testa avrebbe quindi potuto attirare l'attenzione di Libera "che sta indagando"
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di Riccardo Olivieri

GENOVA - "Ci sono cittadini, associazioni e movimenti che fanno la loro parte", associazioni come la 'sua' Libera: il fondatore don Luigi Ciotti, a Genova per l'appuntamento finale della rassegna 'Leggere l'antimafia' (LEGGI QUI), mostra ai giornalisti l'intercettazione che dimostra proprio come il lavoro di contrasto alla criminalità parta dal basso, dalla gente comune e dalle associazioni come Libera. Tra le carte della maxi inchiesta che ha travolto la Regione e il Porto c'è anche una conversazione tra Italo Maurizio Testa, accusato di voto di scambio con aggravante mafiosa per il filone che riguarda i voti della comunità dei riesini in cambio di alloggi popolari e posti di lavoro (LEGGI QUI), e Vincenzo Sciacchitano: tutto nasce da un post scritto su Facebook da Venanzio Maurici, ex sindacalista della Cgil anch'egli indagato, dove viene utilizzata l'espressione 'uvu', che richiamerebbe il voto di scambio e secondo Testa avrebbe quindi potuto attirare l'attenzione di Libera "che sta indagando".

Questo è uno degli elementi che dimostrerebbe il collegamento tra politica e criminalità organizzata anche qui in Liguria. Il procuratore nazionale Antimafia Giovanni Melillo, "uomo che misura le parole" spiega don Ciotti, ha messo in evidenza come "le mafie hanno oggi più che mai ramificazioni strutturali e denuncia la gravità del fenomeno mafioso particolarmente in Lombardia, Piemonte ed Emilia, situazione non diversa in Liguria, Veneto e Toscana. Il procuratore - dichiara Ciotti - evidenzia che le mafie al centro nord sono forti. E quando si chiede dei rapporti con la politica dice che sono diffusi, disincantati e pragmatici, bastano queste tre parole per farci riflettere sul fatto che mafia e corruzione ci sono". Per quanto riguarda la Liguria "la magistratura chiarirà se ci sono responsabilità ma alcuni elementi ci fanno profondamente riflettere".

Il rischio secondo don Ciotti è che "negli ultimi tempi siccome c'è meno sangue, meno attentati, si è passati nella percezione dal crimine organizzato mafioso al crimine normalizzato". E il crimine può essere normalizzato anche perché è difficile distinguerlo, dato che "oggi c'è di tutto, anche i mafiosi che fanno associazioni antimafia. Non lo dice Luigi Ciotti, lo ha detto la Commissione Nazionale Antimafia in base a inchieste, indagini e processi. Nella relazione viene scritto che i mafiosi approfittano delle associazioni per fare affari dietro a una finta lotta alla mafia".

La politica però può "annusare i segnali" e proteggersi, "non bisogna semplificare o generalizzare ma si percepisce se qualcosa non funziona". E deve "soprattutto fare le politiche, deve svolgere un servizio che ha una dimensione etica per il bene comune. Nasce per rispondere ai bisogni delle persone, se non lo fa non è politica. Se non contrastiamo la criminalità anche la politica rischia di diventare criminogena. A Genova ci sono due locali della 'ndrangheta, che è presente in 42 stati nel mondo, in tutti e cinque i continenti. Abbiamo una mafia di una forza ed una potenza non indifferente. Non può essere sottovalutata. Non dobbiamo dimenticarci che l'ultima mafia è sempre la penultima, perché nel codice dei mafiosi c'è un imperativo: rigenerarsi. E in questa stupenda regione ci sono appunto due locali, che vuol dire 'ndrangheta organizzata, a Genova e Lavagna ma anche a Ventimiglia e Imperia. Noi abbiamo fatto un grande lavoro sui porti, abbiamo anche realizzato un rapporto, e chi avrebbe mai detto che il porto di Vado Ligure sia uno dei più utilizzati dai criminali. L'attenzione impone a tutti di essere più scaltri, più vigili".

Soprattutto la politica non deve "temere di ascoltare la voce delle associazioni. La democrazia è partecipazione, se non è partecipata non è democrazia. Dobbiamo collaborare con le istituzioni se fanno le cose giuste ed essere una spina nel fianco se non fanno quello che devono fare. Non vogliamo occuparci solo di poveri, degli ultimi, degli emarginati. Vogliamo essere corresponsabili di un cambiamento. Il vero problema nel nostro Paese sta nel fatto che è 170 anni che parliamo di mafia nonostante un grande lavoro e i sacrifici di tanti. Anche le altre nazioni guardano a noi per la lotta alla criminalità, però non basta mai. Non basta tagliare la malerba in superficie, bisogna andare ad estirpare il male alla radice, un grande impegno culturale, educativo".

Lei si ricorda qual è stato il suo primo incontro con la mafia? "Il prossimo anno sono 60 anni del gruppo Abele, 30 di Libera e io compio 80 anni, ma questo conta meno. Ma cominciando sulla strada tanti anni fa rispetto al tema delle dipendenze e della prostituzione, ma soprattutto dipendenze, già lì erano nati problemi, contrasti, situazioni difficili perché si disturbava chi aveva interessi rispetto alla droga. Ma tornando indietro negli anni, li cominci a conoscere e li abbiamo visti crescere, allargarsi. E oggi, che droga ce n'è molta più di prima, ci saranno quasi mille sostanze sintetiche, se ne parla di meno, come se fosse una delle tante cose. Non può essere normalizzato tutto questo, sono elementi di affari e di potere che consentono alle organizzazioni di diventare ancora più forti".

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