GENOVA - "Francesca era un vulcano pieno di vita, mi ha insegnato l'apertura verso gli altri, a non chiudersi, invitava sempre amici a casa e anche quando erano tanti e con poco preavviso mi diceva mamma non preoccuparti meglio essere in molti e mangiare poco che il contrario". Con queste parole Anna Barberis racconta sua figlia Francesca Bonello che perse la vita il 20 marzo del 2016 in un incidente in Spagna in quella che viene ricordata come la strage dell'Erasmus. A morire furono 13 ragazze, una era Francesca. Della sua storia e della battaglia dei genitori per migliorare la sicurezza dei viaggi in pullman ne abbiamo parlato a 'People - cambia il tuo punto di vista'.
Francesca aveva 24 anni ed era una studentessa di medicina all'Università di Genova, si trovava in Spagna perché stava seguendo il progetto Erasmus a Barcellona. Il processo penale si è chiuso nell'aprile del 2023 a causa della morte per infarto dell'autista e quindi senza una giustizia per le 13 ragazze di cui 7 italiane. Durante il processo dalle testimonianze e dalle analisi tecniche era emersa una guida inadeguata, non aveva rispettato i turni di riposo e continuò a guidare. L'uomo di 70 anni aveva raggiunto un accordo per uno sconto di pena per l'ammissione delle responsabilità ma la decisione non era ancora stata ufficializzata dal giudice.
I genitori di Francesca dalla sua morte hanno da una parte cercato di ottenere giustizia per la figlia riuscendo, insieme alle altre famiglie, ad opporsi con i propri legali, alla volontà della magistratura spagnola di archiviare la tragedia come un incidente stradale dovuto alla fatalità e questo è accaduto per tre volte, dall'altra cercato di sensibilizzare per una maggiore sicurezza dei viaggi in pullman senza mai dimenticare il sorriso e la vitalità della figlia grazie anche ai suoi amici che non li hanno mai lasciati soli.
"Il nostro appello è quello di migliorare la sicurezza dei viaggi in pullman perché sono come dei piccoli aerei che portano 50-60 persone e non c’è nessuna attenzione ad esempio che tutti abbiano la cintura di sicurezza allacciata invece è importantissimo - spiega la mamma di Francesca Anna - è importante poi che siano installati dei dispositivi che possano accorgersi per esempio di un colpo di sonno ed emettendo un suono possano svegliare chi è alla guida, questo non c'era sul bus dove viaggiava mia figlia mentre oggi anche alcune auto hanno questo sistema. L'incidente dove è morta mia figlia è stato causato dal colpo di sonno dell'autista che è stato preceduto da tanti piccoli colpi di sonno, l'autista doveva fermarsi ma non l'ha fatto".
I genitori di Francesca nella loro lotta affinché non accadano più simili tragedie non dimenticano la situazione in cui molti autisti sono costretti a lavorare: "Bisognerebbe parlare di più di quello che viene chiesto loro, è una questione anche di sicurezza sul lavoro perché noi sappiamo che questo autista era stato sottoposto comunque ad uno stress lavorativo veramente pesante, e molti autisti subito dopo la tragedia ci hanno scritto per esprimere solidarietà e ringraziare per portare alla luce le loro difficoltà".
"Purtroppo ad oggi nulla è cambiato - sottolinea papà Paolo - noi genitori avremmo voluto già vedere dei cambiamenti importanti per vedere che le nostre figlie non sono morte invano e invece gli autisti sono spesso costretti a tour de force, le cinture di sicurezza sono per la maggior parte ancora un optional". Non a caso i genitori di Francesca sottolineano il ruolo delle cinture di sicurezza visto che, secondo una perizia fatta realizzare da un ingegnere che lavora per il tribunale di Genova, se Francesca l'avesse avuta allacciata si sarebbe potuta salvare.
Chi ha conosciuto Francesca all'università o nei suo viaggi in Africa o nelle tante attività che svolgeva ricorda il suo desiderio di aiutare gli altri sempre con il sorriso e proprio per questo il suo sorriso sta continuando a viaggiare per il mondo attraverso le iniziative di 'Fra di noi' ma anche di borse di studio che negli anni scorsi hanno portato studenti ad approfondire la propria tesi di laurea direttamente in alcuni ospedali africani.
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IL COMMENTO
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