I dati parlano chiaro: da una parte la Liguria che è la regione europea con l'età media più alta con 52,3 anni; dall'altra, strettamente legato, il calo demografico che la regione vive da anni con culle sempre più vuote. Secondo gli ultimi dati ufficiali in un anno si sono registrate 8.343 con un trend declinante senza interruzioni dal 2012, quando i nati furono 11.583 (-28%), il 39% in più rispetto a oggi. È dal 2015 che la Liguria non torna sopra alla soglia delle diecimila nascite all'anno. Un problema che nel tempo riguarda diversi aspetti e porta conseguenze a livello economico e sociale. Nel 2010 la popolazione ligure era costituita da un milione e 616mila abitanti, oggi sono un milione e 509 mila, solo nel 2023 (ultimo dato ufficiale disponibile) si è registrato un aumento di popolazione di circa 2mila unità. Ma in cinquant'anni la Liguria ha perso 139 mila abitanti con una riduzione di circa l'8% della popolazione.
L'appello alle imprese
E allora ecco che dal segretario della Camera di Commercio di Genova Maurizio Caviglia parte l'appello rivolto alle imprese a cambiare mentalità: "In Liguria il primo problema è quello legato alle infrastrutture la cui carenza ci penalizza rispetto ad altri territori ma subito dopo c'è la questione del calo demografico. Noi dobbiamo riuscire a mettere in campo delle azioni che possano realmente riuscire a invertite la rotta. Sono convinto che fino a quando in un'impresa l'annuncio che una dipendente sta aspettando un bambino non sarà una festa per lei e per tutta l'impresa non riusciremo a risolvere questo problema".
I dati Istat sull'occupazione femminile
I dati dell'Istat mostrano come il 69,3% delle donne che vivono da sole ha un impiego, percentuale che, pur restando tra le più elevate, scende al 62,9% tra le madri sole e al 57,2% tra le madri in coppia (più di 12 punti di distanza dalle single). Un dato significativamente più basso riguarda le donne che vivono come figlie nella famiglia di origine, con un tasso di occupazione pari al 31,1%, in conseguenza sia dell’investimento in percorsi di formazione, sia delle difficoltà di accesso al mercato del lavoro delle più giovani.
Tra gli uomini le differenze sono decisamente meno marcate. Il tasso di occupazione per i single supera il 77%, mentre arriva all’86,3% per i padri in coppia, quasi 30 punti percentuali in più rispetto alle madri in coppia. Più elevata rispetto alle donne anche la percentuale di figli occupati (42,4%). Il carico familiare rappresenta per molte donne un motivo di rinuncia all’attività lavorativa, soprattutto quando ci sono bambini in età prescolare: tra i 25 e i 34 anni, meno della metà delle madri risulta occupata, a fronte di oltre il 60% nella fascia tra i 35 e i 54 anni. Nella fascia di età tra 25 e 54 anni, il tasso di occupazione degli uomini senza figli è del 77,3%, 8,6 punti percentuali in più rispetto alle donne (68,7%).
La differenza è di circa 30 punti percentuali quando i genitori hanno figli minori (rispettivamente 91,5 e 61,6%). Tassi di occupazione delle madri più elevati nel Nord e per le laureate Le disparità a livello territoriale appaiono molto importanti, legandosi anche alla diversa disponibilità di servizi per la prima infanzia: mentre nelle regioni del Nord e del Centro il tasso di occupazione delle madri supera o sfiora il 70%, nel Mezzogiorno si attesta poco sopra il 40%.
La presenza di almeno un figlio minore ha un effetto negativo sui tassi di occupazione femminile in tutte le aree del Paese: ciò è più evidente quando i figli minori sono più di uno, specialmente nel Mezzogiorno dove la quota di occupate tra le madri con figli minori si ferma al 42,0%. All’aumentare del titolo di studio aumenta la quota di occupate e diminuisce il gap tra le donne senza figli e quelle con figli, in tutte le classi di età. La distanza più ampia (oltre 20 punti percentuali) riguarda, di nuovo, le giovani madri (25-34 anni) con al massimo la licenza media, il cui tasso di occupazione non raggiunge il 30%. Tra le laureate giovani e quelle più mature, invece, i tassi non presentano significative differenze per presenza di figli. Peraltro, tra le 25-34enni il tasso di occupazione delle madri è molto vicino a quello dei padri laureati della stessa età.
Le conseguenze del calo demografico
Tra le conseguenze prodotte dal calo ci sono aspetti economici: la riduzione della popolazione attiva e il progressivo invecchiamento della forza lavoro rendono più difficile sostenere l'economia regionale. La diminuzione dei consumatori attivi e della manodopera giovane può rallentare la crescita in alcuni settori economici. Inoltre, l’emigrazione di giovani e professionisti può ridurre il dinamismo e l’innovazione, limitando la competitività della regione. Oppure ancora il calo della popolazione comporta una minore entrata fiscale per i comuni, che si ritrovano con meno risorse per gestire i servizi pubblici. Questo è particolarmente evidente nelle zone rurali e montane, dove la concentrazione di popolazione è più bassa, e la spesa per i servizi è meno "economica" rispetto alla domanda. E poi lo svuotamento dei piccoli comuni, specie quelli dell'entroterra.
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IL COMMENTO
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