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di Franco Manzitti

Genova non è più “quel posto near Portofino”, come denunciava spesso, tra polemica e affetto, quel grand'uomo di Victor Uckmar per denunciare le difficoltà della sua città a farsi conoscere dal mondo, che lui da celebre professionista frequentava in lungo e in largo.

Dal 1992 delle Colombiane, dagli anni seguenti, molta strada è stata fatta nel lancio della Superba nel mondo, questa città splendidamente chiusa nel suo confine potente di capitale industriale dell'Iri, di grande porto pubblico monopolistico, un po' separata orograficamente, un po' diversa per il suo carattere severo, riservato, piena di tesori segreti e anche nascosti.

Ma molta strada resta ancora da fare in quello che i manager moderni chiamano “marketing territoriale” e che allora si chiamava semplicemente pubblicità . I Cinquecento anni di Colombo, grazie a giganti come Renzo Piano, ma anche padri nobili come Paolo Emilio Taviani e sindaci attenti come Fulvio Cerofolini, hanno spalancato Genova al mare, che era chiuso là dietro, mettendo sul mercato la vera attrazione insieme ai tesori nascosti dei palazzi nobili, delle strade da re, del centro storico non più grande d'Europa, come erroneamente si racconta, ma più intrigante del mondo.

Il resto è venuto dopo lentamente, ma decisamente. Attraverso eventi e circostanze anche diverse tra loro. Guardando l'imperdibile trasmissione di Mario Paternostro su Primocanale, “Addio Novecento”, si è ricostruito, per esempio, cosa è stata quella colossale mostra al Ducale de “Lo Siglo de Los genoveses” del 1999, un fatto tanto grande che solo ora ne comprendiamo l'ampiezza e il “ritorno di immagine” con tutto il palazzo colmo di opere fantastiche e un “superpubblicitario” a lanciarla, come quell'altro gigante di Arnaldo Bagnasco, “padre” del Ducale stesso.

E si sono profilati i personaggi come Fabrizio De Andrè, un mito non solo della musica leggera, morto in quello stesso anno 1999 con un funerale tanto grande da richiamare su quella città sua nativa una attenzione che poi non si è mai più fermata.

Poi c'è stato il 2004, anno di Genova capitale della cultura in Europa, ricorrenza sfruttata da un altro gigante, come Beppe Pericu, il sindaco sicuramente più solido del Dopoguerra genovese.

Il gioco era fatto, ma non è ancora completo in questo marketing che potrebbe portare a Genova, finalmente “dischiusa”, non ancora aperta, che mancano le strade, a diventare una vera attrazione mondiale, quella città internazionale che viene auspicata oggi da quel treno di spinta che è il sindaco di oggi, il manager capocantiere Marco Bucci.

Aggiungerei, sfruttando l'intelligenza di un mio amico, che si chiama Andrea Acquarone, che deve finalmente diventare una città “contemporanea”, al di là della sua logistica e del suo mood caratteriale e culturale, meno imbronciato, “stundaio”, per usare un termine intraducibile della nostra lingua affascinante.

Allora ci vuole ancora un lavoro fine di marketing territoriale, che non è ancora neppure in cantiere, perché qui chi frena è la burocrazia, la gelosia interna, la capacità di sintonizzarsi appunto con linguaggi esterni, più contemporanei.

A volte viene il dubbio che siano i genovesi stessi a bloccare questo processo di esternalizzazione. Meglio restare nel proprio stagno e aprire quando e quanto si vuole?

C'è da augurarsi che non sia così e che nel 2023 questo marketing territoriale finalmente decolli. Buon Natale anche per questo.