Commenti

3 minuti e 19 secondi di lettura
di Stefano Rissetto
Quando pensate che il Male non ci appartenga, che sia qualcosa di confortevolmente remoto, che abiti all'inferno lontano da noi, venite a Chiavari. In poche decine di metri, dal ponte sull'Entella a piazza Roma, ascolterete il coro silenzioso di otto morti ammazzati. Puntate un compasso sullo studio dove nel '95 fu uccisa la segretaria, aprite lo strumento di un niente. Due palazzi accanto, in una mansarda, viveva il cuoco egiziano che la notte di Capodanno del '91 scannò un connazionale, per gelosia; e poi un altro, perché non parlasse. Passando proprio da via Marsala ed entrando in via Entella, ecco il negozio dove negli anni Ottanta una donna venne finita con l'accetta dall'ex marito. Rancore. Torniamo in corso Dante, direzione Lavagna: ecco l'autosilo dove nel 2019 fu freddato un ex collaboratore di giustizia, per questioni private si sarebbe saputo. Qualche passo ancora: ecco il palazzo dove nel '99 due anziani coniugi vennero macellati a coltellate da un nipote e dalla fidanzata. Eredità. Andando verso Caperana c'è l'ufficio che aveva visto, nel 1988, un uomo sopprimere il suo datore di lavoro. Dissapori.
 
Tutto qui. Un francobollo silenzioso eppure demoniaco di una ricca e tranquilla città di provincia mai diventata provincia, dove vicino alla stazione, in due edifici contigui, tra i Sessanta e i Settanta un gruppo di giovani contribuiva a consolidare Comunione e Liberazione e un altro le Brigate Rosse.
Senza andare oltre il fiume, fino a Lavagna, dove trentacinque anni fa, sotto i portici di via Nuova Italia, un ragazzo disarmò con un colpo di judo una guardia giurata per spararsi alla testa. Oppure senza tornare a piazza Mazzini, dove aveva il banco di frutta e verdura la famiglia del giovane che, con uno sventurato succube, sul finire degli anni Settanta aveva rapito drogato soffocato e bruciato la figlia di un notaio lombardo. E chissà chi mai nel 1987 aveva garrotato, con i suoi stessi slip e un rametto d'albero, la giovane vedova milanese trovata sulle Grazie, già verso Rapallo.
 
La banalità del Male, visto da vicino, non è mai banale. Nell'appartamento accanto allo studio del commercialista viveva un mio compagno di scuola, ci ho fatto i compiti o meglio visto in tv decine di partite e il mondiale a eliminazione di Sallanches. Uno di questi otto morti è a due loculi di distanza da quelli dei miei genitori. La sorella di una delle vittime era la più bella ragazza della mia scuola. Il Male sa sfiorarti, parla una lingua chiara ma incomprensibile. L'ultimo morto ammazzato al mio paese poco distante, invece, io e lui eravamo stati ragazzi insieme. Lo incontrai che aveva due mesi di vita e non poteva sapere che l'amico dell'ex moglie lo avrebbe strangolato in garage, lì a due passi dal bar dove stavamo parlando, era preoccupato lui per me, che avevo perso il lavoro. E già che ci siamo ebbene sì, il ragazzo che aveva disarmato la guardia giurata era pure lui un mio compagno di scuola, compagno di niente.
 
Quando rasenti il Male, diventi refrattario al chiacchiericcio. Anche se scopri che il delitto della segretaria era come la lettera rubata di Poe, passi oltre, non ti interessa il pendolo dell'opinione corrente, che oscilla tra la voglia di forca e il perdonismo a seconda dei connotati del fatto. Per alcuni criminali il tempo non passa mai, altri "sono persone diverse da quelle che erano". E poi le etichette pret-a-porter come "femminicidio", un modo alla moda per definire la banale risultante dell'imperfezione umana con la maggiore forza fisica media del maschio. Un giorno la soluzione è "superare il modello carcerario" come lo era stata "superare il manicomio", un altro scopri che il delitto e la pazzia - tra l'altro spesso connaturati - sono numeri primi dell'esistenza, irriducibili soltanto a se stessi.
Alla segretaria non importa più se la sua assassina abbia finalmente nome e volto, né se sia uomo o donna. A chi invece guarda la vita passare non resta che rassegnarsi al cupo rumore di fondo del Male, che chiama altro male e non passa mai.