Mi collego ai recenti editoriali di Maurizio Rossi e Mario Paternostro sulla storia infinita dell’aeroporto e del collegamento ferroviario tra Milano e Genova con un ricordo personale. Alla fine degli anni ’50, accompagnavo mio padre in visita alla Fiera di Milano, allora polo europeo in materia di elettrotecnica, meccanica, utensili. Per far viaggiare in sicurezza tram e filobus genovesi, la Uite (antenata della Amt odierna) dotava la officina Guglielmetti delle migliori attrezzature. Era un viaggio breve. Il Trans Europa Express, TEE Ligure correva a 140 chilometri all’ora, alimentato a gasolio, collegando Milano a Marsiglia, con fermate a Genova, Savona Imperia, Sanremo e Ventimiglia. Percorreva la tratta da Milano a Genova in un’ora e tre quarti.
Sono passati più di 60 anni ma la durata del viaggio, nonostante le Frecce a colori, non è diminuita granché. Traspare una vena malinconica se, per Maurizio Rossi, i genovesi “prenderanno un treno a bassa velocità” per Linate o Malpensa, mentre Mario Paternostro si accontenterebbe di un “treno velocetto”. E un groppo alla gola prende anche chi il ciclo del viaggio lo vive in direzione ostinatamente contraria. La ferrovia dei Giovi data 1853. Il secondo valico, chiamato “succursale”, nacque con la legge Baccarini del 1879. La tratta tra Ronco e Sampierdarena fu attivata nel 1889, e l’intero tratto entrò in esercizio nel 1922. Le tre ore e un quarto necessarie da Genova a Milano nel 1889 erano scese, nel 1924, a due ore e quaranta minuti. Dopo la guerra, con qualche miglioria, la velocità aumentò ancora e —nell’anno Santo 1950 a me caro— si viaggiava in treno da Milano a Genova in meno di due ore e mezza. A cavallo degli anni ’90, l’Italia decise finalmente di dotarsi di una rete ad Alta Velocità, la cosiddetta AV. I pensatori più acuti e influenti della città ligure fecero allora a gara nel disegnare un tracciato degno della Superba. Una delle soluzioni poneva la stazione genovese presso l’aeroporto, come accade, per esempio, a Francoforte e in altre medie città del mondo. Una scelta favorevole allo scalo genovese, oggi ventitreesimo in Italia per traffico passeggeri, poco più di un milione all’anno. I tre aeroporti milanesi ne ospitano più di 50 milioni, Nizza più di 14. Per certo, questa soluzione non avrebbe penalizzato il Cristoforo Colombo più di quanto sia in pena oggi. Altri pensatori proposero lo scalo Terralba: un tracciato attorcigliato a 150 gradi in galleria a discreta pendenza, che avrebbe ostacolato lo scolmatore idraulico più atteso e meno benvoluto della storia. Genova si arrovellò a lungo su dove fare atterrare la AV per poi ricadere dopo anni sulla storica soluzione Principe, mentre l’Italia si muoveva, a passo lento, ma si muoveva. Se nel 1889 ci volevano più di tre ore da Milano a Torino, oggi bastano 47 minuti. E meno di tre ore da Milano a Roma, mentre non ne bastavano 16 quando Strade Ferrate Italiane stampò il primo orario italiano (1889). La rete italiana è tuttora striminzita rispetto a quella di paesi vicini come Spagna e Francia, al cui confronto arrossiamo. E solo gli storici valuteranno la penalizzazione della Liguria dove, sempre nel 1889, il treno a vapore copriva in quattro ore la litoranea a binario unico tra Genova e Ventimiglia.
Se amate i paragoni, consultate gli orari estivi del 2024. Il Cociv (Consorzio Collegamenti Integrati Veloci) sta ancora costruendo il primo tronco della linea AV tra Milano e Genova in base a un protocollo del 1991, l’anno dello scudetto della Sampdoria. Costruire le linee AV con carichi, pendenze e curve che consentano il transito anche ai treni merci, così come fatto in Italia, comporta esorbitanti costi aggiuntivi. Non solo un sovraccosto economico, almeno del 30 percento, ma anche un sovraccosto ambientale, con strutture a impatto spesso brutale sul paesaggio; e il principale vantaggio è quello di porre, accanto alla sigla AV, anche la sigla AC (per Alta Capacità). AV/AC è molto più democratico e più verde di AV e basta: mette tutti d’accordo. Peccato che non esistano treni merci in grado di viaggiare ad Alta Velocità, né in Europa, né altrove. In Usa, i treni merci della Union Pacific viaggiano a meno di 30 chilometri all’ora, in media. Se un vasetto di pesto impiega 17 ore invece di 7 a percorrere i 1.200 chilometri da Genova ad Amsterdam, perde il suo aroma? Concordo sulla necessità della AV/AC solo se evita al basilico di Prà di fare brutte figure. Intanto, il treno dei miei desideri genovesi e dei miei pensieri milanesi all’incontrario va.
RENZO ROSSO
già Ordinario di Costruzioni Idrauliche e Marittime e Idrologia Politecnico di Milano dal 1986 al 2021
IL COMMENTO
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