GENOVA - La notizia era così attesa e ormai data per scontata che si rischia di perderne la rilevanza. Invece è importantissimo che gli anni travagliati di Banca Carige finiscano grazie alle nozze con Bper anziché con l'intervento di grandi gruppi e per giunta stranieri, quali potevano essere il Credit Agricole o Bnp Paribas. La ragione è molto semplice: i colossi, d'Oltralpe ma a ben vedere anche quelli nostrani, si chiamino Intesa o Unicredit, si muovono secondo logiche che puntano alla cancellazione di ciò che viene acquistato, diluito totalmente nell'entità maggiore. Sarebbe stata la fine della lunghissima storia di Carige. Per informazioni chiedere a Carispezia, dopo che l'ha rilevata proprio l'Agricole.
Con Bper, invece, le cose andranno diversamente per le ragioni che la stessa acquirente spiega in una nota: "La forte valenza strategica e industriale dell’operazione consentirà al gruppo di crescere in territori oggi limitatamente presidiati, consolidando il proprio posizionamento competitivo e rafforzando la prospettiva di creazione di valore per gli stakeholder". Ovvio che la Banca popolare dell'Emilia Romagna parli per se stessa, ma in filigrana si coglie quello che sarà il destino di Carige: continuare a essere il punto di riferimento dei genovesi e dei liguri, "territori limitatamente presidiati" da Bper.
È proprio la quasi totale assenza di sovrapposizioni fra chi compra e chi viene comprato il vero elemento di forza dell'operazione. L'altro sarà la sopravvivenza del marchio Carige: non c'è ancora alcuna comunicazione ufficiale, ma chi conosce Montani giura che non ci sono dubbi. Non già perché il timoniere di Bper sia in vena di regali alla sua città, Montani è genovese, o alla banca di cui è stato amministratore delegato fra il 2013 e il 2016, bensì per la ragione più logica per chi sta al comando dell'istituto modenese: sfruttare al meglio il "prodotto" che viene acquistato. E in Liguria se dici banca dici Carige.
Dunque, ci sono tutti i presupposti per immaginare che si possa concludere felicemente il periodo più buio di Carige. Compreso quello che sembrava poter promettere meglio e che faceva capo alla famiglia genovese dei Malacalza. Ma essere buoni imprenditori non significa essere banchieri all'altezza: sono mestieri profondamente diversi, come i fatti si sono incaricati di dimostrare.
Difatti non possiamo dimenticare che Montani è uscito da Carige proprio per volere dei Malacalza, che gli hanno pure fatto causa con una richiesta danni per centinaia di milioni di euro. Una azione temeraria, che si è conclusa con la sconfitta dei Malacalza e la dimostrazione che Montani lavorò nell’interesse di Carige. E pensare che se l’operazione che il management genovese aveva quasi definito con un fondo americano fosse andata in porto senza il “niet” della famiglia genovese, anch'essa non avrebbe perso alcune centinaia di milioni di euro e la vicenda Carige si sarebbe conclusa anni prima.
Invece proprio quella presa di posizione incomprensibile ha regalato a Carige tanti momenti drammatici, sino alla sospensione della quotazione in Borsa e alla necessità che per evitare il peggio intervenisse il Fondo interbancario, anche per salvare l’immagine della solidità del sistema bancario italiano.
Nella migliore tradizione genovese, molti "voltagabbana” interni all’azienda e della classe dirigente cittadina si schierarono quasi in massa a condividere la posizione degli azionisti locali. La politica non fu da meno, dopo aver fatto l'impossibile per favorire lo sbarco dei Malacalza in Carige. Ecco perché adesso che l'establishment deve tornare a fare i conti con Montani, è bene che la politica se ne stia alla larga.
Negli anni in cui imperversava il dominus Giovanni Berneschi, l'ex presidente finito in gravi guai giudiziari proprio per la gestione di Carige, del resto, i politici hanno fatto danni inenarrabili con le loro interferenze sia nella vita della banca sia in quella dell'allora principale azionista, vale a dire la Fondazione. Crollato miseramente tutto il castello, tutti si sono limitati ad affermazioni general-generiche, accuratamente evitando di prendere posizioni chiare, nette, precise.
Oggi, a cose fatte, la politica prova a saltare sul carro del vincitore, cercando di incassare dei dividendi anche in vista delle amministrative di primavera. La cosa riguarda tutte le forze politiche, nessuna esclusa. E tutte faranno bene a girare al largo. Banca del territorio è un termine che personalmente non mi piace molto, ma di sicuro può significare attenzione alle imprese, ai correntisti, ai risparmiatori. Non alle necessità della politica e dei suoi amici, degli amici degli amici e degli amici degli amici degli amici: è un film già visto, finito malissimo.
Ma Piero Montani per fortuna non è il tipo da lasciarsi condizionare. Parla con tutti, sa ascoltare, ma poi decide per conto proprio, senza farsi tirare per la giacca. Ha ottimi rapporti con i vertici del mondo bancario italiano e per lui tifavano certamente la Bce, Bankitalia e pure il governo, il cui leader non a caso è un banchiere di lungo corso come Mario Draghi. Ma nessuno si è azzardato a dire una sola parola. Del resto, un assaggio del carattere grintoso di Montani lo ha avuto il Fondo stesso, quando è stato trascinato pubblicamente davanti alla Consob perché non dava risposte dopo la prima offerta di Bper e flirtava con altri pretendenti senza informare il mercato. Se tanto mi viene, tanto voglio: ecco, per Carige si può dire che è finito il tempo dei tentennamenti, delle incertezze, dei timori. Per la banca dei liguri può cominciare una nuova storia.
IL COMMENTO
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