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Sono circa le 19 di sabato 31 agosto 2024. Scrivo questo editoriale prima che possa accadere qualcosa in vista delle elezioni regionali. E lo faccio proprio per non vedere il mio ragionamento contaminato dalla cronaca.

Dunque: il 27 e 28 ottobre i liguri andranno al voto per eleggere il nuovo presidente della Regione, dopo che quello precedente, Giovanni Toti, è stato disarcionato da un’inchiesta giudiziaria che ha letteralmente terremotato la politica. Non solo quella locale.

Il direttore dell’Unità, Piero Sansonetti, un comunista d’antan che da sempre è impegnato in dure critiche alla magistratura, sostiene che “l’unico candidato possibile sarebbe proprio Toti, visto che è stato fatto fuori da un blitz dei magistrati genovesi”.

Sansonetti non è nuovo a queste posizioni, sebbene la sua parte sia addirittura scesa in piazza a Genova (invero non c’era tantissima gente) proprio “per farla finita con il totismo”. Secondo Sansonetti, quella andata in scena “è stata una vergogna”. Però c’è chi la pensa all’opposto.

Dico tutto ciò per declinare il clima in cui abbiamo trascorso questi mesi in Liguria, da quando scattarono i provvedimenti cautelari contro Toti, Aldo Spinelli, Paolo Signorini e altri. Era il 7 maggio. Capisco una, due, tre settimane per riprendersi dallo shock, che per ragioni diverse ha investito sia la maggioranza di centrodestra sia la minoranza di centrosinistra. Una, due, tre settimane. Ma poi?

D’accordo, arriviamo pure a quando vengono fissate le elezioni. A questo punto, però, mi volete dire chi diavolo saranno i candidati a darsi battaglia con maggiori possibilità di successo? Alludo, ovviamente, all’alfiere del centrodestra, che deve assorbire il colpo, e a quello del centrosinistra, che deve rovesciare il trend favorevole agli avversari. Un possibile candidato, l’ex ministro Andrea Orlando, il centrosinistra lo ha da quasi subito.

Bene. Anzi, male, malissimo. Perché siamo a sabato 31 agosto sempre del 2024 e l’unico competitore noto è l’ex grillino Nicola Morra, di Uniti per la Costituzione. Per il resto non si sa niente. Molte parole sono state fatte, Orlando ha lanciato più di un penultimatum e poi, forse, un vero ultimatum. Ma nisba, sebbene i suoi potenziali alleati ripetano di non avercela con lui né con il Pd, partito di cui è espressione.

Intanto, però, continuano a sciorinare dei distinguo. E un vero casus belli è l’adesione al campo largo di Matteo Renzi con la sua Italia Viva. Giuseppe Conte, leader dei Cinque Stelle, non ce lo vuole. Alla fine gli basterà che Renzi ordini di uscire dalla maggioranza del Comune di Genova guidata da Marco Bucci? Sì. No. Ni.

Dalle parti del centrodestra le cose non vanno diversamente. Appena sciorina una serie di nomi (la deputata Ilaria Cavo, l’assessore regionale Marco Scajola, il vicesindaco di Genova Pietro Picciocchi, il sindaco di La Spezia Pierluigi Peracchini, l’ex sindaco di Rapallo Carlo Bagnasco) l’osservazione della coalizione è che vanno bene tutti. Cioè non ne va bene alcuno. Poi sembrava rimasta solo la Cavo. Appunto, sembrava. Improvviso, infatti, è rispuntato il nome del viceministro leghista Edoardo Rixi, che pure a più riprese si è chiamato fuori dalla contesa. Si è anche celebrato un vertice romano fra i big della maggioranza di governo, ma la fumata resta nera.

Io continuo a domandarmi: siccome tutti ci dicono che in Liguria ci sono molte emergenze da affrontare, e infrastrutture e sanità sono effettivamente dei problemi, com’è possibile che in una situazione del genere i partiti non sappiano fare presto e bene? Magari per il bene aspettiamo la prova dei fatti, però il presto si può pretendere subito. Macché. Poi ci si stupisce se una parte sempre più consistente dell’elettorato diserta le urne!

Una volta si diceva: l’impresa non può attendere i tempi della politica. Ora mi pare si possa affermare che quei tempi sono incompatibili pure con la vita reale delle persone. Sansonetti non ha torto quando dice che vorrebbe il primato della politica rispetto a tutto il resto. Ma se la politica è questa...