La prima è stata la triste protagonista delle cronache del 2024 ed è femminicidio: una parola attestata in italiano da fine Ottocento, ancorché col significato, diverso da quello attuale, di qualsiasi assassinio di una donna da parte di chiunque. Una sua variante più rara è femicidio, dall’inglese femicide, che ha ispirato l’evoluzione del significato originario della parola anche in italiano, riservandolo oggi all’uccisione di una donna da parte di un uomo o come gesto estremo della sua volontà di dominio e sopraffazione psicologica e sociale su di lei o come punizione per il suo orientamento sessuale o identità di genere. Dunque i femminicidi (o femicidi) non sono solo degli omicidi di donne, ma sono omicidi di donne da parte di uomini cui sono o erano legate per diverse ragioni (soprattutto affetti e parentela) o che le odiano perché sono donne. Femminicidio non è, quindi, come si potrebbe pensare dalla forma della parola, semplicemente uccisione di una donna, magari durante una rapina o per una lite sull’eredità. La sgomentante realtà dell’incredibile numero di donne uccise da un uomo per ragioni sentimentali ha indotto la lingua a ritagliare, dentro il grande insieme degli omicidi di donne, il loro assassinio da parte di un maschio che le uccide per stabilire il suo potere su di esse o vendicarsi per averlo perduto. Il femminicidio non è il contrario dell’omicidio, come se con questa parola si intendessero solo gli assassinii di uomini. Il femminicidio è un sottoinsieme tragico del purtroppo grande insieme tragico di tutti gli omicidi, di cui restringe e specializza il significato richiedendo tre caratteristiche: che l’assassinata sia una donna, l’assassino un uomo, la motivazione nelle pretese o intolleranze di genere da parte di costui.
La seconda parola ci porta in politica ed è federatore, una parola che risale all’Ottocento e forse anche a fine Settecento, quando cominciava ad affacciarsi il pensiero federalista. Ma il federatore dell’Ottocento era un sostenitore dell’ideale federale, cioè della federazione (o confederazione) di Stati come presupposto per una loro reciprocamente vantaggiosa unione dentro una forte autonomia. In questo senso federatore era l’opposto di accentratore, come federalismo lo è ancora oggi di centralismo. Il federatore che è stato invocato nel 2024, invece, è uno che cerca di federare, di conciliare o semplicemente far coabitare i diversi soggetti di un “campo largo”, che è largo sia perché ne deve contenere tanti, sia perché tra l’uno e l’altro c’è molto spazio, parecchia distanza. Allora, affinché forze così distanti si consorzino senza perdere la loro puntigliosa distinzione, si è auspicato un federatore, qualcuno che sappia indurle a far valere i tratti di somiglianza più di quelli di differenza, una sorta di conciliatore di interessi diversi, a volte addirittura concorrenti. Accadendo tutto ciò a sinistra, dove le diversità, è noto, contano più delle analogie, si potrà capire perché il federatore non si sia ancora trovato e perché la ricerca sia destinata a continuare nel 2025.
L’ultima parola è molto rara, per ora ancora alle porte dell’italiano comune, non si trova e si dà in due forme, sia come anglismo sia come un derivato nostrano: si tratta di futurability e futurabilità. La prima dà il nome a un innovativo museo a Milano (lo Step- FuturAbility District di piazza Olivetti) che, tra l’altro, aiuta il visitatore a considerare la propria futurAbility (scritta così), cioè la propria propensione, attitudine (ability) al futuro (futur). La futurability non è quindi la futuribilità, la caratteristica di qualcosa che potrà forse essere e forse no, il tratto di ciò che è futuribile. È la futurabilità, la disponibilità a impegnarsi, personalmente o come azienda o come società o stato, per la costruzione del futuro, al fine di lasciarlo migliore a quelli che ne godranno: linguisticamente è la composizione di abilità e di futuro. Si tratta di una parola presente al momento nel nome del museo d’avanguardia citato, e, in forma italiana, in pochissimi saggi dagli anni Ottanta ad oggi. Speriamo che, nel senso di coraggiosa apertura al futuro, la futurability o futurabilità apra l’anno nuovo, perché c’è tanto bisogno di pensieri e gesti che guardino lontano, allarghino gli orizzonti, preparino un futuro più bello e giusto del recente (anno) passato.
* emerito di storia della lingua italiana all'Università di Genova e accademico della Crusca
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IL COMMENTO
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