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di Luigi Leone

 

Performance di bilancio eccellente, un'azienda in grado di primeggiare a livello mondiale, un'esperienza solida per competere con quei marpioni di francesi e tedeschi sul terreno della difesa, in attesa di costruirne una europea. Più, per buon peso, la capacità di saper gestire una fase in cui i programmi per il militare, complici le recenti vicende della guerra in Ucraina, saranno rilanciati in tutti i Paesi della Comunità.

Se Giuseppe Bono, amministratore delegato di Fincantieri, è tutte queste cose - e certamente lo è - diventa difficile comprendere perché da settimane si vada cianciando della possibilità che non resti al suo posto. C'è chi lo vede depotenziato, come presidente con qualche delega, ma con la poltrona principale affidata ad altri. E chi, addirittura, lo immagina completamente fuori dai giochi, perché - questo il ragionamento di chi vuole giubilarlo - anche se restasse in veste di "presidente depotenziato" in realtà continuerebbe a essere lui il vero timoniere, visto che nella linea comando aziendale sono tutte persone sue. Anche se ciò, a ben vedere, dovrebbe essere un ulteriore merito riconosciuto a Bono.

Capisco che è abbastanza anomalo un simile endorserment, ma se persino le stesse organizzazioni sindacali hanno dichiarato di fare il tifo per Bono qualche ragione deve esserci. Ci sono stati anche momenti di dura contrapposizione, ma in Fiom, Fim e Uilm mica sono scemi a rischiare vertenze di qualunque genere trovandosi davanti chi neppure sa di che cosa si stia parlando.

Del resto, io l'ho sempre saputa così: se un management funziona e prima di tutto funziona chi di quel management è alla guida, non c'è alcuna ragione per fare delle modifiche. Nei corridoi si racconta che sia lo stesso premier, Mario Draghi, a volere un cambiamento: riterrebbe troppi i venti anni trascorsi da Bono alla guida di Fincantieri.

Ma questa può essere una ragione valida? Cioè, puoi rischiare chi ti ha appena portato certi risultati solo per la volontà di mostrarti incline al cambiamento? Se poi le cose non funzionassero, Draghi e chi per lui - vedasi alla voce Giovanni Gorno Tempini e Dario Scannapieco, timonieri di Cassa Depositi, che detiene la maggioranza del gruppo navalmeccanico - dovrebbero rendere conto di un improvvido cambiamento.

Non per responsabilità loro, ma il precedente di Leonardo, quando ancora si chiamava Finmeccanica, dovrebbe indurre alla prudenza: dopo Pier Francesco Guarguaglini, all'epoca numero uno dell'azienda, è stato il diluvio. Forse non a caso, così si mormora nei soliti corridoi romani, a favore della riconferma di Bono ci sarebbe una voce davvero al di sopra delle parti, cioè nientemeno che quella del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

Comunque, ormai ci siamo: se il calendario venisse confermato, già alla fine di questa settimana il consiglio di Cassa depositi dovrebbe varare le liste in vista delle nomine assembleari di Fincantieri e lì si vedrà come andranno le cose. La fase, e tutto il resto che abbiamo ricordato, dovrebbero suggerire di non toccare niente. Difatti, negli ultimi giorni si è aggiunta l'ipotesi che Bono potrebbe rimanere al suo posto. Sarebbe la cosa più logica. L'Italia ha già tanti problemi, non ultimi quelli provocati direttamente e indirettamente dalla guerra in Ucraina. Crearne un altro soltanto per ragioni di brutale potere non avrebbe senso.