Cultura e spettacolo

Tornano dopo otto anni gli incubi del regista canadese David Cronenberg
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di Dario Vassallo

A otto anni da ‘Maps to the star’ David Cronenberg è tornato a girare un film e lo ha portato a Cannes lo scorso maggio ventisei anni dopo quel ‘Crash’ che proprio sulla Croisette creò scandalo e al quale questo ‘Crimes of the future’ può in qualche modo apparentarsi, ritrovando l’antica abilità - dopo qualche prova così così - di saldare l’horror alla fantascienza. Lo ha fatto rispolverando una sceneggiatura vecchia di decenni con lo stesso titolo di una sua pellicola del 1970 con cui però ha poco e niente da spartire. 

Il film è ambientato in un misterioso futuro in cui i corpi delle persone stanno cambiando e si inizia a capire di essere all’inizio di una fase evolutiva post-umana. Gli sviluppi della medicina e dell'analgesia hanno ridotto le sensazioni fisiche al punto che il dolore è un ricordo del passato. Ma anche il piacere sessuale convenzionale sta svanendo, insieme al disgusto e alla paura che da sempre moderano il comportamento umano. E i corpi hanno dimostrato di essere in grado di far crescere nuovi organi, la cui funzione non è ancora chiara.

E’ in questo contesto che incontriamo Saul (Viggo Mortensen), un artista eccezionalmente fertile di questi nuovi organi se pure fragile, debole e afflitto da un'agonia cronica i cui effetti cerca di attenuare attraverso apparecchiature particolari come una sedia speciale che lo aiuta a mangiare e un letto sospeso a mezz'aria. La sua ragazza, un ex-chirurgo (Léa Seydoux), lo aiuta a coltivare questi organi e periodicamente usa il bisturi per rimuoverne alcuni all’interno di una sorta di performing art, davanti ad un pubblico pagante che osserva con interesse. I due sono però tenuti a riferire quanto fanno ad un'unità governativa incaricata di monitorare questi eventi per registrare ufficialmente ogni nuovo organo che appare, nella speranza di ribaltare la tesi secondo la quale "l'evoluzione umana sta andando verso oscure direzioni".

Minaccioso ed inquietante ‘Crimes of the future’ torna a sottolineare le preoccupazioni insite da sempre nel cinema del regista canadese riprendendo i toni di film come ‘La mosca’, ‘Inseparabili’, ‘Crash’ e ‘Il pasto nudo’ che emergono chiaramente in questa visione del futuro che è un sogno affascinante e insieme ricco di incubi, una concezione crepuscolare del domani dove la manipolazione clinica della sessualità e il feticismo del corpo finiscono per prevalere in un mondo che appare impermeabile alle tradizionali calamità che lo colpiscono (e speriamo che non sia una profezia in tempi di Covid). Un lamento sull'assurdità della specie umana che si sforza di mettere il dolore oltre i limiti del possibile e reinventarsi la stessa natura del piacere. E alla fine di tutto, qualunque cosa possa essere - un neo-noir macchiato di sangue, una parabola del degrado ambientale, una storia d'amore insolitamente bizzarra e tenera - "Crimes of the future" si impone anche come una satira non convenzionale del mondo dell'arte contemporanea.