Cultura e spettacolo

Lo spettacolo in scena al Politeama genovese da stasera al 20 ottobre
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di Dario Vassallo

Nel teatro contemporaneo, da sempre così teso alla scoperta del Grande Autore e che dunque macina e divora ogni cosa a velocità supersoniche, un testo che superi la contingenza del momento per assurgere al valore di un piccolo 'classico' è merce rara: 'Rumori fuori scena’, in scena da stasera al 20 ottobre prodotto da 'The Kitchen Company', fa parte di questa sparuta minoranza avendo consegnato se stesso e il suo autore, l'inglese Michael Frayn, ad una travolgente e inaspettata popolarità. Evento ancor più straordinario se si pensa come sia riuscito a sfatare, tutti insieme, alcuni pregiudizi storici che il teatro si porta dietro praticamente da sempre, come quello che vede il successo un elemento disdicevole nell'economia di certi autori (quasi fosse indispensabile sbattersi a destra e a manca per veder poi riconosciuta la propria bravura magari soltanto una volta morti) o che considera la commedia 'leggera' una sorta di sottogenere da guardare con sospetto e diffidenza.

Già, perché 'Rumori fuori scena', volendo usare una parola che potrebbe far rabbrividire qualcuno, non è altro che una farsa. Quali dunque i motivi di tanto successo? Si potrebbe cominciare dicendo che colpisce nel segno e che ci si diverte praticamente dall'inizio alla fine, ma sarebbe una banalità. La realtà è che fa leva su un tema che ha sempre affascinato chi sta in platea: lo spettacolo che si riproduce, si cita, rifà se stesso, un meccanismo - cioè - che tende a smascherare le regole del gioco e a smontare la macchina teatrale consentendo di guardare il giocattolo dall'interno. Il pretesto, nella commedia di Frayn, è dato da una scalcagnata compagnia di quart'ordine che seguiamo in tre momenti ben distinti: durante la prova generale di un nuovo spettacolo, travagliata e faticosa come non mai, e quindi in due successive repliche talmente squalificanti da stravolgere completamente il testo che stanno interpretando.

La chiave vincente sta tutta qui, in un gioco ad incastro tra palcoscenico e quinte realizzato in maniera fantasiosa e brillante e in una magistrale architettura che vellica il nostro voyerismo di spettatori perché guardare dal buco della serratura il nascere di una commedia rappresenta una sirena irresistibile. Certo, in genere quando si mette in mette in prova una novità le cose vanno (si spera) in maniera diversa ma resta comunque un modo di soddisfare innocentemente alcune fantasie: se a volte proviamo il sadico desiderio di essere testimoni di un atto totalmente trasgressivo - che so, vedere un attore mandare al diavolo in scena il proprio collega o la primadonna alle prese con un devastante vuoto di memoria - la commedia di Frayn è lì puntuale a soddisfare queste nostre voglie un pò perverse.