Cultura e spettacolo

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di Dario Vassallo

Quando arrivò nelle sale cinematografiche all’alba del nuovo millennio, ‘Il gladiatore’ si consolidò subito nello spirito del tempo culturale di allora per i suoi discorsi epici, le battaglie emozionanti, l’elaborata costruzione d’epoca e la vigoria della messa in scena. Non a caso, tra combattimenti, intrighi e spargimenti di sangue, incassò 466 milioni di dollari in tutto il mondo confermando la muscolosità di un regista di razza come Ridley Scott, mai timido nel prendersi gioco dell'infinita piccolezza della sete di potere dell'uomo.

E' ambientato sedici anni dopo l'originale

Comprensibile dunque l’attesa che ha circondato l’uscita de ‘Il gladiatore II’, un’altra storia di vendetta cui si aggiungono corruzione politica e avidità. Ambientato 16 anni dopo la morte del Massimo Decimo Meridio di Russel Crowe e di Marco Aurelio, il sogno di Roma è stato a lungo dimenticato, infranto, contaminato e corrotto da due imperatori, Geta e Caracalla, che usano la loro crudele tirannia per conquistare paesi e utilizzare i loro prigionieri come schiavi. La speranza di un futuro diverso sarà riposta in Lucio (interpretato da Paul Mescal) che vive con moglie e figlio in Numidia, invasa dall’esercito romano guidato da Marco Acacio. Lucio combatte coraggiosamente ma il suo popolo viene conquistato e la famiglia massacrata. Fatto prigioniero e spedito a Roma, viene acquistato dall'ambizioso uomo d'affari Macrino (Denzel Washington) che coglie il potenziale di questo guerriero nel Colosseo. Ma tutto ciò che vuole Lucio, che si scoprirà essere il figlio di Massimo Decimo Meridio, è vendicarsi di Marco Acacio senza rendersi conto che il suo avversario sta segretamente tramando un colpo di stato per porre fine alla tirannia di Geta e Caracalla.

Recensione de 'Il gladiatore II'

Un regista che non si rinnova

Quasi venticinque anni dopo l’originale Ridley Scott torna nell'antica Roma con un sequel decisamente più ricco – per budget, uso della computer grafica e gamma delle sequenze d'azione - ma prosciugato di quella magia vecchio stile che ne rappresentava la forza e l’originalità, intimo e gigantesco nello stesso tempo. Intendiamoci, come molte produzioni hollywoodiane contemporanee certamente non delude dal punto di vista spettacolare ma rappresenta la testimonianza di un famoso regista che torna a un grande successo senza riuscire sostanzialmente a rinnovarsi. Il suo maggiore interesse sembra essere quello di creare un'azione più grande e audace, aiutato dagli enormi progressi compiuti dalla tecnologia digitale nei 24 anni trascorsi dal ‘Gladiatore’. Questo gli permette di resuscitare idee ritenute prima impraticabili, come utilizzare lottatori che cavalcano rinoceronti in carica o battaglie nautiche dentro un Colosseo infestato da squali.

Ciò che manca nel racconto è compensato dallo stile

Detto questo, c'è un forte senso di déjà vu tanto che la sceneggiatura di David Scarpa sembra più vicina a un remake che non a un sequel. Vengono tracciati molti parallelismi tra i due film dimenticando che i parallelismi drammatici devono significare qualcosa, altrimenti rimangono solo due linee rette, una uguale all'altra che vanno nella stessa direzione e arrivano nello stesso posto. E tuttavia ciò che manca nella narrazione Scott lo compensa come sempre con lo stile rendendo le battaglie un’estetica. Come nessun altro regista contemporaneo gli scontri per lui sono una bellissima e massiccia coreografia di morte mostrandoci anche qui scene monumentali codificate da un rigore dell'inquadratura che fornisce loro momenti di eroismo e paura, gloria e umiliazione, sacrificio e avidità. È il signore della guerra di massa del cinema moderno, quasi ogni fotogramma diventa con lui un dipinto classico.

Un appello alla democrazia

In definitiva ‘Gladiator II’ è un viaggio che non intende rivoluzionare la vita di nessuno anche se c'è un'affermazione implicita sulla libertà e sulla perdita dei diritti sottolineando come la politica stia diventando sempre più una questione di leader egoisti e petulanti che non si preoccupano minimamente dei loro cittadini. Diciamo un appello quasi propagandistico alla democrazia perché quello che nell’antica Roma perseguiva la politica populista e il modo in cui la gente comune era diventato il giocattolo di interessi, diciamo così, capitalistici non è molto diverso da ciò che accade nel nostro presente. E se c’è un messaggio che il film lancia è che la democrazia deve sempre rimanere difendibile e che per essa è necessario lottare fino allo stremo, perché se il nostro destino è di morire è sempre meglio farlo da liberi che da reclusi.

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