Cultura e spettacolo

Il francese Jacques Audiard incrocia la vita di quattro persone sole che per riscoprire se stessi si trovano occasionalmente ad occupare lo stesso spazio emotivo l'uno dell'altro
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di Dario Vassallo

Jacques Audiard è un regista che sorprende sempre con i continui cambi di registro dei suoi film che possono passare con felice disinvoltura dal genere carcerario (Il profeta) al western (I fratelli Sister) attraverso il melodramma (Ruggine e ossa) e il dramma urbano (Deephan, Palma d’oro nel 2015). Questa volta ti spiazza con una commedia, un delicato arazzo in bianco e nero sui millennial e i loro sentimenti partendo da tre graphic short-stories di Adrian Tomine, famoso fumettista statunitense. Il titolo fa riferimento ad un quartiere considerato un po’ la Chinatown della capitale francese, pieno di grattacieli che danno un’immagine della città molto diversa da quella che abbiamo visto da turisti o siamo soliti guardare al cinema.

Qui incrocia le vite di quattro persone: Émilie ha origini cinesi e vive nell’appartamento della nonna, ospitata in una casa di cura perché affetta da demenza senile. Lavora in un call center ma viene licenziata per essere stata scortese coi clienti. Cercando qualcuno con cui dividere l’appartamento per procurarsi un reddito lo trova in Camille, un insegnante di liceo che sta per lasciare il proprio lavoro per dedicarsi alla sua tesi di dottorato e che finirà per entrare e uscire spesso dal suo letto. Nonostante questo l’uomo si lega anche a Nora, una trentenne venuta a Parigi per iscriversi tardivamente all’università che però viene erroneamente scambiata dagli altri studenti per Amber Sweet, famosa professionista di chat sessuali online cui finirà per diventare amica trovando inaspettate sintonie caratteriali.



E’ un girotondo che – fatte le debite proporzioni – ricorda nella forma certi film francesi del passato come 'La ronde’ di Ophuls o 'La mia notte con Maud' di Rohmer ma il film di Audiard ha quella leggerezza lì, rapportata ovviamente alla realtà di oggi. Affascina il modo con cui cattura con uno stile totalmente minimalista l'imbarazzo e l'isolamento della vita contemporanea nelle grandi città creando qualcosa di romantico ma ambientandolo in un quartiere dall'aspetto decisamente poco romantico, popolato di personaggi che sono tutti convinti di stare meglio da single.

Persone confuse, ma dal momento che nella vita reale c'è quasi sempre uno scarto tra il modo in cui ognuno vede se stesso e quello in cui ci si comporta sono queste presunte incongruenze che li fanno diventare convincenti. Audiard cattura il loro comportamento contraddittorio e impulsivo, la loro capacità di aprirsi a nuove esperienze sottolineando anche il modo in cui il fallimento può renderli riluttanti a rischiare future umiliazioni. Individui soli i cui reciproci rapporti rappresentano una dolorosa via d'uscita dalla solitudine e che per riscoprire se stessi si trovano occasionalmente ad occupare lo stesso spazio emotivo l'uno dell'altro.

 Un famoso libro di Raymond Carver si intitola 'Di cosa parliamo quando parliamo di amore'. Quello che lo scrittore americano racconta è un amore con la 'a' minuscola, che non ha la nobiltà delle grandi passioni ma non per questo riguarda meno noi tutti. E' lo stesso amore di ‘Parigi, 13arr’ e Audiard ce lo mostra con la precisione di un entomologo.