GENOVA - Una crisi che sembrerebbe difficile da sanare quella che si è venuta a creare in seno al governo Draghi: dopo le dimissioni del premier, respinte dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, restano quattro giorni prima di mercoledì per provare a ricomporre la situazione, che a molti sembrerebbe essere oramai impossibile da riparare. Il rifiuto del Movimento 5 Stelle a votare il Decreto Aiuti ha provocato una frattura con Mario Draghi che, dopo l'approvazione in Senato, si è subito diretto al Colle per un colloquio con Mattarella. Pressioni interne ed esterne potrebbero evitare le urne anticipate, ma per chi respira l'aria romana di queste ore sembra difficile questa ipotesi e scommette su mercoledì, dopo il viaggio in Algeria di grande importanza per la crisi energetica del paese e il vertice intergovernativo, come l'annuncio definitivo dell'addio di Draghi.
L'impressione è che ci sia una grande confusione, in seno al M5s, in primis, che dopo la divisione di Luigi Di Maio e i risultati delle amministrative, sta facendo i conti con le tante anime diverse che lo compongono. Ma, scavando all'interno anche delle altre forze politiche, sono molti i partiti lacerati da tensioni interne. E quello di Draghi non ammette possibilità di 'Draghi bis', in nome della sua credibilità costruita a livello internazionale negli anni. Dal suo punto di vista, senza il Movimento 5 Stelle, viene meno il patto di governo di unità nazionale sotto il quale era nato il suo mandato.
"L'impressione è che tutto questo sia frutto di un momento molto saturo, tra stanchezza e incomprensioni che si sono andate a sommare" commenta a Primocanale Luca Pastorino, deputato di Liberi e Uguali e segretario alla Presidenza della Camera. "Rispetto allo scenario che fece cadere il Conte 2, con le dimissioni di alcuni ministri di Italia Viva, in questo caso ci troviamo in una situazione particolare. Non sono i numeri che mancano qui per la fiducia e sono evidenti le tensioni anche all'interno dello stesso Movimento 5 Stelle. Anche lo stesso ministro per i rapporti con il Parlamento D'Incà ha espresso le sue perplessità. Il vero rischio di queste ore è che qualcuno dica la sua e parli troppo, per cui le dimissioni diventerebbero irrevocabili".
"Quando è nato questo Governo, che anche io ho sostenuto, ho sempre pensato che potesse andare avanti con maggioranze variabili vista l'eterogeneità delle forze politiche che lo compongono"
Un anno e mezzo di tensioni inevitabili, viste le diverse anime che hanno composto la maggioranza, da cui di fatto erano slegate poche forze politiche 'anti-sistema' e Fratelli D'Italia. Intanto, anche la Lega internamente è divisa tra chi vorrebbe andare al voto nei prossimi due mesi - tra le ipotesi c'è già la data del 10 ottobre - e chi invece frena in favore di Mario Draghi. Ed è proprio la Lega che, sommata al M5s, potrebbe far traballare i numeri della maggioranza: ecco perché la mossa di Draghi è un messaggio chiaro e inequivocabile per qualunque partito: o tutti insieme o nessuno. Sta di fatto che per molti è difficile vedere una possibile soluzione a questo "impasse, nonostante sia un momento delicatissimo, vedo lontana la possibilità di un ripensamento".
Era attesa l'approvazione di un altro decreto aiuti, mentre a livello internazionale con la guerra in Ucraina il tema risorse energetiche è una delle priorità da affrontare che con la campagna elettorale rischierebbe di non essere affrontata a dovere. Senza contare, poi, la grande opportunità del Pnrr, che richiede tempi stretti per l'avvio delle opere sui singoli territori e per cui il Governo Draghi poteva garantire in questi mesi. Certo il voto sarebbe anticipato di qualche mese, dato che le elezioni erano previste a marzo del 2023, ma per Pastorino la differenza tra "ottobre e marzo passa per la Legge di Bilancio, che con un nuovo Governo difficilmente riuscirebbe ad essere approvata entro il 15 ottobre.
IL COMMENTO
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