"Noi ci siamo impegnati già da tanto tempo proprio per assistere i malati verso il termine della vita, ma ci siamo messi in campo soprattutto per curare, alleviare il dolore. Quindi questa è la nostra finalità, cioè cercare di alleviare il dolore nei malati. Inizialmente eravamo soltanto confinati, limitati ai malati di tumore in fase avanzata e poi col tempo le cure palliative si sono estese anche a tante altre patologie progressive, patologie che evolvono in tempi più o meno più o meno verso il termine della vita. Però il nostro impegno è soprattutto quello di rendere il meno doloroso e rendere la minore sofferenza possibile ai malati.
Un impegno che non prevede il ricorso all'eutanasia o il suicidio assistito, perché noi cerchiamo di rendere la vita il migliore possibile e migliore qualità di vita possibile ai malati ma cerchiamo di tenerli in vita e far sì che il loro ultimo tratto di vita sia il meno doloroso possibile e il più dignitoso possibile.
Quindi non è nel nostro novero di armi per combattere il dolore, l'eutanasia, perché la riteniamo una scorciatoia per porre fine alle sofferenze e porre fine anche alla vita. Quindi un po' in antitesi al nostro impegno. Noi non vogliamo, perché è facile allora risolvere il problema di un malato che ha dei dolori, dei dolori severi. È facile liberarsi interrompendo la vita, ma noi vogliamo invece alleviare il dolore ma permettere che la vita continui il suo decorso pur in una situazione di difficoltà. Il nostro impegno è quello di rendere meno difficile questo ultimo percorso di vita, quindi non è un nostro impegno l'eutanasia o il suicidio assistito. Siamo nati per un altro scopo, un altro fine, quello di alleviare il dolore, ma non di interrompere la vita con un atto intenzionale qual è quello del suicidio assistito o dell'eutanasia".
Rispetto all'applicazione della sentenza Cappato o comunque alla creazione di una legge sul fine vita la vostra posizione, quindi, qual è?
"La mia posizione personale, almeno non è quella eventualmente di fare una battaglia e intraprendere una battaglia contro l'eventuale legalizzazione dell'eutanasia. Perché io mi rendo conto che ci sono delle situazioni di sofferenza non tanto fisica quanto esistenziale, quanto morale, per cui anche se tu offri la possibilità di curare il dolore, di alleviare la sofferenza, ci sono delle situazioni nelle quali il malato non vuole più continuare a vivere.
Il nostro impegno è quello di cercare di convincerlo a mantenersi in vita cercando di alleviare il dolore, sia quello fisico, ma anche quello morale, quello dell'anima. E se non ci riusciamo, ovviamente il malato ha il diritto a mio avviso, anche di ricorrere all'eutanasia.
Quindi, anche se per noi l'eutanasia non è un'arma appropriata per il nostro impegno, però io non mi sentirò mai di fare una battaglia contro l'eutanasia, perché può essere un diritto consentito da un'eventuale legge, come c'è in alcuni altri Paesi del mondo, non tanti, ma in alcuni paesi del mondo l'eutanasia è entrata già nell'ambito della legge. Però nei Paesi dove è stata legalizzata, poi nelle analisi delle rendicontazioni sui motivi per cui si ricorre all'eutanasia non c'è tanto il dolore, ma quanto proprio la sofferenza esistenziale. Ma soprattutto una delle cause maggiori e una delle prime cause di richiesta dell'eutanasia è il fatto che la persona si sente di peso per la società si sente di peso per gli altri. E allora è la società e sono gli altri che devono intervenire per non far sentire di peso questo persona. Quindi è una colpa un po' della società che emargina, che isola queste persone e che le fa sentire di peso a loro e alla cerchia dei familiari, alla cerchia degli amici e alla società intera. Quindi si riversa un pochino la responsabilità sulla società, più che sulla singola persona che richiede l'eutanasia".
Ecco parlando di eutanasia si parla di morte e quindi io volevo chiedere se quello della morte è secondo lei un tabù ancora forse troppo presente nella nostra società. E poi le volevo chiedere, a conclusione dell'intervista, che cos'è per lei la morte? Che cosa rappresenta?
"La morte fa parte della vita, perché già quando si nasce noi sappiamo che siamo ormai candidati alla morte. La morte è diventata un tabù: oggi si pensa che la morte non ci debba essere, che non possa far parte della vita e quindi si pensa che l'uomo possa essere immortale. Ma questa è un'utopia, anche se la medicina fa di tutto per cercare di allungare la vita, di protrarre il più possibile, però è un compito che non riuscirà mai a raggiungere, perché l'essere umano è mortale.
E quindi il pensiero della morte è una cosa che oggi nella società è diventato proprio un una sorta di tabù. Non si può parlare della morte, si può parlare soltanto di cose futili, di cose che allontanano questo pensiero.
Però pensare alla morte a volte fa anche rendere più relative tante difficoltà, tante situazioni di difficoltà che ci sono nella vita. Perché se si pensa che un giorno dovremo morire, forse tante cose che oggi ci sembrano così così grosse, così imponenti, così pressanti, così rilevanti, non lo sarebbero, perché tutto verrebbe relativizzato. Quindi il pensiero della morte dovrebbe essere un pensiero che possa far vivere al meglio anche la vita che è in corso".
IL COMMENTO
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