Strada sempre più in salita per la proposta della Commissione Ue sui ricollocamenti urgenti da Italia e Grecia di 40mila siriani e eritrei, richiedenti protezione internazionale.
Di fronte alle resistenze di numerosi Paesi rispetto all'obbligatorietà del meccanismo, la presidenza lettone del Consiglio europeo (che fino ad oggi non ha fatto il lavoro tecnico per far avanzare il dossier) mette sul tavolo della riunione dei ministri degli Interni di martedì, un invito a presentare proposte alternative sul meccanismo, "prendendo in considerazione le preoccupazioni emerse".
Fonti rivelano l'intenzione di far circolare, in modo informale, in una sorta di primo test, idee e scenari, su cui trovare un compromesso al vertice dei leader del 25 e 26 giugno.
Si pensa a proposte "win-win", dove vincono sia gli Stati in prima linea, alle prese con l'emergenza, ma anche quelli che non vogliono perdere consenso politico nazionale, "facendosi imporre un nuovo diktat da Bruxelles".
Ma l'esecutivo Ue si dice pronto "a difendere il suo piano fino all'ultima parola", obbligatorietà compresa.
Il presidente Jean Claude Juncker ammonisce: "Se la solidarietà europea ha una chance di manifestarsi con fermezza e generosità è sull'immigrazione". Non si parla di quote, afferma. "I governi devono ripartirsi in modo equo e solidale chi chiede protezione internazionale. Persone che non possono essere lasciate alle sole cure di Italia, Grecia, Spagna e Malta. E' un problema di ciascun europeo".
Una conta formale degli Stati sulla questione ancora non c'è stata e anche a Lussemburgo martedì non ci sarà (per questo si dovrà aspettare il summit di fine giugno), ma gli orientamenti sono già emersi nelle riunioni al livello di ambasciatori: "c'è forte divisione, moltissima polemica e tantissime domande sulla fattibilità pratica e legale", spiegano fonti diplomatiche. E come rivela lo stesso documento della presidenza lettone, al di là del nodo dell'obbligatorietà, si mettono in discussione "i parametri scelti per la ripartizione il numero delle persone da ricollocare, i fondi a disposizione, e la capacità delle strutture degli Stati". Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca, che godono di regimi speciali, si sono chiamate fuori.
Molti Paesi sono arroccati sulle proprie posizioni, e a seconda dello schieramento di appartenenza, si propongono visioni diverse, in un risiko psicologico.
Stando alle analisi che vengono fatte circolare dalle capitali nettamente contrarie al meccanismo obbligatorio, come Paesi baltici, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, ci sarebbero già i numeri per un blocco di minoranza. Dal fronte opposto si vedono i margini per una maggioranza qualificata. E non manca chi si lancia in ipotesi ultra-tecniche: "la maggioranza qualificata c'è se si utilizzano i criteri di calcolo previsti dal Trattato di Lisbona, non c'è se si fanno valere quelli di Nizza, in teoria utilizzabile fino al 2017". Altri ancora ritengono che un terzo di Paesi sia tuttora incerto sul da farsi, e per questo parlano "di una situazione molto fluida, di una partita molto complessa, ma ancora tutta da giocare".
Intanto c'è chi sottolinea ancora una volta il concetto di "solidarietà in cambio di responsabilità", facendo riferimento ai fotosegnalamenti e alla raccolta delle impronte digitali, così come previsto dal regolamento di Dublino. Per l'Italia la proposta della Commissione è "il minimo che può essere accettato". E se dovesse saltare la solidarietà, anche tutto il resto del pacchetto sarebbe da rivedere, hotspot compresi.
politica
Immigrazione, tensione in Ue: si studia piano B
Si cerca compromesso per vertice del 25
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