Anche Alessandro Terrile, segretario genovese del Partito Democratico, entra nel dibattito lanciato da Primocanale sulla crisi del Pd locale (*).
Intervengo volentieri nel dibattito sul PD genovese e ligure aperto da Mario Paternostro.
Usciamo da due pesanti sconfitte, le regionali del 2015 e le comunali di quest'anno a Savona, figlie di un comune errore: aver confidato in una nostra autosufficienza, ed aver collocato al centro della nostra discussione gli equilibri interni al partito prima di un progetto credibile per la nostra comunità.
Siamo riusciti, in due anni, a delegittimare lo strumento delle primarie, asservendolo al regolamento di conti tra correnti, e provocando fratture che non si sono ricomposte prima delle elezioni vere.
Che malattia ha il PD? Perchè in Liguria è diventato un organizzatore di primarie, incapace di vincere le elezioni? Il PD non vince perché sempre più spesso parla solo di sè, sui giornali, nelle televisioni, nelle sedi di partito. Il Pd non vince perché viene percepito come un soggetto che pensa sempre di avere ragione, sempre meno interessato ad ascoltare, sempre meno curioso del mondo che lo circonda.
E questo accade perché la politica nel nostro paese è cambiata, e con essa i partiti, che non sono più in grado di rappresentare una grande parte di società che pure ha bisogno di avere voce negli organismi elettivi.
Si salveranno solo i partiti che rinunceranno ad essere luoghi chiusi ed autoreferenziali, e accetteranno la sfida di essere partiti-infrastruttura, capaci di coinvolgere una società sempre più allergica alla politica paludata, ma che al contempo ha un immenso bisogno di essere rappresentata. E ha bisogno di essere ascoltata.
È un cambio epocale, che comporta fratture, divisioni, perdita di centralità e di potere. Ed è normale che qualcuno si lamenti. Ma è un cambio necessario. Soprattutto per un centrosinistra che a Genova ha visto negli ultimi anni chiudersi il ciclo di una grande classe dirigente, quella dei Burlando, Pericu, Margini, Vincenzi, che ha trasformato la città, gestendo la fine della grande industria e le riqualificazioni urbane degli anni '90 e 2000.
Ora tocca ad una nuova generazione, che deve affrontare problemi altrettanto gravi, certamente con meno denari pubblici.
Una nuova generazione che potrà fare errori, ma che ha voglia di metterci la faccia, con passione e coraggio, senza paura di contestazioni, senza paura di qualche sputo. Con una consapevolezza: è finito il tempo delle verità assolute. Il nostro compito è quello di fare emergere dentro la politica, ma soprattutto fuori di essa, la migliore classe dirigente pronta a prendere in mano il futuro della città.
Il nostro compito è quello di stimolare le forze vive, rompere il maniman, la diffusa diffidenza a lavorare in squadra, la strategia degli orticelli senza una visione d'insieme. Il PD deve recuperare uno spirito di servizio alla nostra comunità, prendendo esempio dai tanti nostri amministratori nei Municipi, che spesso non hanno neppure il tempo di prendere parte a polemiche interne perché sono occupati a risolvere i problemi dei cittadini.
Non servono parole. È solo con l'esempio e con il lavoro quotidiano che il PD in Liguria e a Genova potrà recuperare credibilità.
politica
La malattia del Pd? Parla solo di sé senza curiosità per la città
Il dibattito sulla crisi del partito in Liguria/7
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