
"L'esperienza dell'emigrazione - prosegue il vescovo - è dolorosa per ogni uomo; soffre chi è costretto a lasciare la famiglia, la casa, la terra, abbandonando affetti, costumi, lingua, cultura e tradizioni che compongono la propria identità; soffre la famiglia privata di un suo componente e smembrata; soffre la terra depauperata spesso delle sue risorse migliori. A ciò si affiancano le difficoltà dei popoli occidentali nel realizzare una difficile integrazione, spesso preoccupati, non sempre senza ragione, di preservare la loro sicurezza e la loro identità culturale e religiosa".
E' per questi motivi che "mentre affermiamo con Papa Francesco il dovere dell'accoglienza di chi bussa alla nostra porta in condizioni di grave emergenza, occorre anche impegnarsi, forse più di quanto non sia stato fatto, per garantire ai popoli la possibilità di 'non emigrare', di vivere nella propria terra e di offrire là dove si è nati il proprio contributo al miglioramento sociale". "Nell'impegno per l'accoglienza, si finisce spesso per trascurare quanti restano in quei Paesi, che spesso sono veramente i più poveri, anche culturalmente", conclude mons. Suetta.
IL COMMENTO
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