Slitta la sentenza della Corte di Cassazione nell'ultimo grado del processo a carico dell'ex leader della Lega, Umberto Bossi, e dell'ex tesoriere del Carroccio, Francesco Belsito, condannati nel 2017 dalla Corte d'appello rispettivamente a 2 anni e sei mesi e a 4 anni e 10 per truffa ai danni dello Stato. Con l'istanza di ricusazione del Collegio avanzata dal legale di Belsito di fatto nell'udienza odierna verranno solamente ascoltate le parti. In teoria giovedì, 8 agosto, scatterebbe la prescrizione sia per Bossi che per Belsito, ma i termini sono sospesi fino a quando non si pronuncerà il Collegio che dovrà valutare l'istanza di ricusazione. La sentenza potrebbe arrivare anche a settembre.
L'ex tesoriere della Lega, imputato nel processo sulla truffa ai danni dello Stato sui rimborsi elettorali, ha ricusato il collegio della sezione feriale della Cassazione chiamato a decidere sulle condanne e la confisca dei 49 milioni. La sua prima istanza, respinta dalla Corte, era stata quella di rinviare l'udienza data la mancata trasmissione in Cassazione del fascicolo sul dibattimento di primo grado e sul conto corrente della Lega. Il presidente della sezione feriale penale Fausto Izzo, preso atto dell'istanza di ricusazione, ne ha disposto la trasmissione al primo presidente della Corte affinché convochi un collegio apposito per pronunciarsi sulla questione.
Il sostituto pg della Cassazione Marco Dall'Olio ha chiesto poi di confermare in via definitiva le condanne per truffa allo Stato sui rimborsi elettorali per l'ex leader della Lega Umberto Bossi e per Francesco Belsito, ex tesoriere del partito. Lo ha chiesto, davanti ai giudici della sezione feriale penale, ritenendo inammissibili i ricorsi presentati dai due imputati contro la sentenza con cui la Corte d'appello di Genova, lo scorso novembre, condannò Bossi a un anno e 10 mesi di reclusione e inflisse a Belsito una condanna pari a 3 anni e 9 mesi, riducendo lievemente le pene pronunciate dal giudice di primo grado.
Dall'Olio ha chiesto inoltre un processo d'appello bis, in accoglimento del ricorso della procura generale di Genova, per Stefano Aldovisi, Antonio Turci e Diego Sanavio, i tre revisori dei conti per i quali la Corte d'appello di Genova nello scorso novembre ha ridotto le pene derubricando il reato da quello di truffa a indebita percezione di erogazioni.
Se la Cassazione confermerà in via definitiva le condanne di Umberto Bossi e Francesco Belsito, come sollecitato dal pg nella sua requisitoria, resterà confermata anche la confisca dei 49 milioni di euro alla Lega. Il pg nella sua requisitoria non ha fatto riferimenti alla confisca, che nel processo di secondo grado era venuta meno solo nei confronti dei tre revisori dei conti.
L'ACCUSA: "SOLDI USATI PER BOSSI" - Il sostituto procuratore generale della Cassazione non ha dubbi sulla mancata trasparenza e falsificazione riguardo alla rendicontazione delle spese, "finalizzata ad ottenere i finanziamenti alla Lega". E proprio sul piano della trasparenza, secondo quanto previsto dalla legge, "che si viene a realizzare la condotta truffaldina", sottolinea. Nel corso della requisitoria Dall'Olio si dice d'accordo sulle motivazioni della sentenza della Corte d'Appello di Genova e afferma, contro quanto ritiene la difesa, che "non è vero che rendiconti erano generici e non falsi. Ad esempio ci sono i rimborsi agli autisti mentre i soldi venivano utilizzati per pagare le spese della famiglia Bossi".
C'è poi un accredito "riferibile all'acquisto della laurea per Renzo Bossi", dice Dall'Olio ricordando una cartellina con la scritta 'family'. Secondo il sostituto pg della CassazionE, a giudizio del quale è stato messo in piedi "un sistema artatamente sofisticato", la truffa "si configura simulando una trasparenza senza la quale le somme non si sarebbero potute ottenere. Le falsificazioni non erano finalizzate a occultare al partito le condotte appropriative ma ad ottenere il finanziamento".
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Fondi Lega, Belsito ricusa il Collegio per 'bloccare' la sentenza della Cassazione
La sentenza potrebbe arrivare anche a settembre
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