Se ne è andato anche Lorenzo Acquarone, uno dei Grandi rimasti in questa città, a 89 anni, stroncato da una polmonite, nella sua casa e nei nei giorni più bui del nostro tempo. Era un grande personaggio non certo solo della nostra città, sopratutto un avvocato-principe con una competenza nel Diritto Amministrativo che lo faceva chiamare “il professore” ovunque, oltre che affettuosamente “Lorenzino” per la giovialità che né l’età, né la statura professionale, accademica, politica avevano mai mitigato fino all’ultimo giorno che coglie tutti impreparati, perchè Lorenzo Acquarone sembrava con la sua verve incontaminata, il suo acume dialettico, la sua preparazione tecnica, il suo eloquio facondo, la sua memoria perfetta , eterno, intramontabile.
Eppure aveva alle spalle una lunga vita di successi nella professione, nella politica, nell’Università, dove aveva avuto presto grande riconoscimento, entrando giovanissimo, a 33 anni, come professore Ordinario.
Difficile stabilire se fosse più un avvocato che un professore o un politico, dopo tanti anni passati nelle aule di giustizia, in Facoltà e nella politica al massimo livello, quattro legislature, un lungo periodo come vicepresidente della Camera dei Deputati, vicario di un personaggio come Luciano Violante, leader per decenni del suo territorio che partiva dalla natia e amatissima Ventimiglia, nella Dc storica, poi nei Popolari, poi nella Margherita, poi nell’Udeur, ma sempre con le sue idee, quelle di Lorenzino.
Era il “figlio” prediletto di Roberto Lucifredi, suo maestro all’Università, che era salito in cattedra a 29 anni, e faceva parte di quel filone di esperti di diritto pubblico che ha prodotto a Genova personaggi come Giuseppe Pericu, Fausto Cuocolo, Piergiorgio Alberti e tanti altri, tutti diversi tra loro, ma cresciuti da un ceppo di grande rigore scientifico e di grandi aperture sociali e politiche. Il nocciolo “tecnico”, in parte, di una Dc da uomini di razza, con forti personalità e autonomia.
E’ stato pro rettore e a Genova in quasi gioventù ed è rimasto in cattedra fino a che ha potuto, lasciando non senza rimpianto molto ben contenuto una Università che era il suo orgoglio.
Ma sopratutto Acquarone era un grande avvocato, di grandi processi, di grandi clienti, quella era la sua anima vivace, combattiva, con il cuore e con la testa sempre teso a vincere i processi, a sfidare i casi più difficili.
La politica era un corroborante forte dove si dispiegava bene il suo carattere fatto di principi forti, costruiti anche su leggi ferree e ragionamenti raffinati.
Quando vinceva un processo era l’uomo più felice, quando ti poteva raccontare un bel retroscena politico, ma di quelli di prima fila, era prezioso e documentato. Quella sua tecnica professionale applicata alla politica gli aveva fatto guadagnare, per esempio, la stima di tutti i presidenti della Repubblica, uno dopo l’altro, sopratutto di Ciampi e Scalfaro, ma anche del turbolento Cossiga, poi di Napolitano. E si divertiva a raccontarteli, ma senza la presunzione di essere diventato un potente, piuttosto con il divertimento di un osservatore attento e un po’ privilegiato.
Era facondo, grande raccontatore, grande conoscitore di animi umani, dialettico, spesso anche fluviale nelle sue memorie così ricche di storie e di attori e attrici.
Insomma da una chiacchierata con lui te ne andavi sempre arricchito. Non gli pesava l’età, perché sembrava che non ne avesse. Era generoso, sopratutto con i giovani , non solo avvocati, dei quali sapeva riconoscere i talenti. Aveva tanti amici, alcuni storici con cui formava come una lobby a fin di bene, come per esempio i tanti medici, una categoria che conosceva bene.
Negli ultimi anni non aveva certo mollato la presa dei processi, delle battaglie politiche. Grande la sua difesa dell’Avvocato dello Stato Novaresi nel processo genovese per le concessioni portuali. Si era battuto anche nella battaglia del referendum costituzionale del 2016, andando anche in televisione a spiegare da gran professore e da gran avvocato le sue ragioni contro la riforma di Matteo Renzi.
Manteneva un filo forte e sentimentale con le sue origini a Ventimiglia. Raccontava con divertimento della volta in cui, nel 1997, il segretario del Quirinale Gaetano Gifuni gli telefonò raccomandandogli di prepararsi un abito scuro per giurare come ministro dei Lavori Pubblici, dopo le improvvise dimissioni di Di Pietro. Dovette rifiutare, perché quella carica sarebbe stata incompatibile con il suo lavoro di avvocato. E fare l’avvocato per Lorenzo Acquarone veniva prima di ogni altro impegno. Era la sua identità. La sua spinta, la sua capacità di relazioni, anche il suo ottimismo spesso caustico mancheranno a tutti. Lo rimpiangeranno in tanti, non solo nella Dc del tempo che fu, che perde con lui dopo Bonelli, Peschiera, Mori, Signorini, Parodi un altro cavallo di razza, in questa stagione terribile di lutti, e in tanti si stringeranno intorno alla sua famiglia, in particolare a Giovanni, il suo figlio maschio che ne continuerà la professione e del quale era così pudicamente orgoglioso. E’ un peccato non poterlo onorare insieme in questo tempo così duro, ma ci sarà occasione di ricordarne bene la figura e il ruolo.
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Addio a Acquarone. Il Lorenzo magnifico della professione, dell’università e della politica
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