Il governatore ligure Giovanni Toti e il sindaco di Genova Marco Bucci non si può dire che stiano ignorando la questione. Anzi. Ma il problema della possibile vendita della business unit Automazione (che poi sarebbe la vecchia Elsag) da parte di Leonardo merita alcuni chiarimenti.
Primo: se il governo davvero volesse, la questione andrebbe subito in archivio, per la semplice ragione che Leonardo, cioè la vecchia Finmeccanica, è una azienda controllata dallo Stato. La gestione è affidata a dei manager, in particolare l'amministratore delegato Alessandro Profumo, ma la proprietà è pubblica e alla fine Profumo deve fare ciò che dice il proprietario. Punto.
Secondo: la vendita di Automazione è funzionale alla concentrazione dell'ex Finmeccanica nel settore Difesa, per cui tutto ciò che odora di Civile non ha più alcun senso. Al netto delle giuste preoccupazioni dei sindacati sulla sorte dei lavoratori, in particolare del presidio genovese, dire oggi che non si vende significa rimettere in discussione una strategia industriale che nel gruppo ha una origine rafforzata dopo l'uscita di scena dell'ex dominus di Finmeccanica Pier Francesco Guarguaglini. Dunque, non bastano proteste, telefonate a Roma e quant'altro per "salvare" Automazione.
Terzo: rimettere in discussione la scelta portata avanti da Profumo, ma nata ben prima di lui, può avere senso. I tempi sono cambiati, però non le regole dell'economia aziendale. La forza dell'ex Finmeccanica era la sua dualità nel militare e nel civile: quando andava male uno andava bene l'altro, e viceversa. In questa ciclicità il risultato era una linea di galleggiamento accettabile, che peraltro consentiva di raggiungere nuovi primati sia nei ricavi sia negli investimenti per ricerca e sviluppo.
Quarto: quella era una Finmeccanica forte. Tanto per dire, capace di vincere, in consorzio con altri, la gara per il Marine One, l'elicottero del presidente Usa. In Europa era una spina nel fianco per i concorrenti diretti, cioè i campioni nazionali di Francia, Germania e Gran Bretagna e la sua prerogativa era proprio quella di essere una conglomerata che riusciva a reggere le nuove sfide dei mercati grazie alla sua flessibilità industriale. Questa cosa non piaceva alle cancellerie del Vecchio Continente e difatti nessuno si è strappato le vesti,anzi, quando la vecchia Finmeccanica, nel frattempo divenuta Leonardo, è piano piano diventata come le altre. Resta un mistero perché i governi italiani siano stati complici dell'indebolimento del gruppo e quindi del nostro posizionamento sullo scacchiere industriale mondiale.
Conclusione: ridurre la battaglia su Automazione a una mera difesa dell'occupazione, cosa peraltro sacrosanta, sarebbe un errore. In gioco c'è di più, molto di più. Ma occorre che il governo abbia la volontà di mettere le mani sull'argomento. Mario Draghi, il premier, ha già aperto diversi fronti in Europa e difendere gli interessi di Leonardo in un certo modo significherebbe aprirne uno ulteriore. Ma, ormai, forse è chiedergli troppo.
cronaca
Automazione, con i posti di lavoro in gioco la strategia di Leonardo
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