Anche lui, come Nanni Moretti, ha atteso quattordici mesi prima di far uscire il film per portarlo in anteprima mondiale qui a Cannes dove era previsto in concorso l’anno scorso. Evidentemente Wes Anderson, il regista di 'Grand Budapest Hotel' e 'I Tenenbaum', è un altro che se lo è potuto permettere.
'The French Dispatch' è sostanzialmente un tributo al famoso 'New Yorker' con il suo leggendario elenco di direttori e scrittori, il personalissimo layout tipografico e la raffinatezza destinata a un pubblico americano medio-alto. Anderson trasferisce l’azione in Francia, la rivista che dà il titolo al film ha la sua redazione in un immaginario paesino, Ennui-sur-Blasé, e funziona da edizione europea di un altrettanto immaginario giornale americano, l’Evening Sun di Liberty, Kansas. Tratta argomenti vari, dalla politica alla cronaca passando per la cultura, l’arte, la moda e la cucina.
Quando il direttore del giornale muore (Bill Murray), i redattori decidono di pubblicare un numero commemorativo con gli articoli che hanno ottenuto maggior successo nel tempo. Il film approfondisce tre episodi, tra il 1925 e il 1975: Tilda Swinton è un critico d'arte che racconta la storia di un assassino (Benicio Del Toro) per il quale la guardia carceraria Simone (Léa Seydoux) funge da musa spogliandosi per lui come modella. Frances McDormand è una scrittrice che si tuffa nella turbolenta scena rivoluzionaria studentesca finendo per avere una relazione con il giovane leader Timothée Chalamet e Jeffrey Wright è un critico gastronomico che viene intervistato sul rapporto avuto con il capo-chef di una sezione speciale della polizia.
È difficile immaginare un altro regista contemporaneo con uno stile immediatamente riconoscibile come quello di Anderson che fa propria l'idea di Oscar Wilde che l'arte non ha bisogno di esprimere nient'altro che se stessa. I suoi film possono essere stravaganti voli di fantasia ma esprimono anche una genuina curiosità per la bizzarra natura delle relazioni umane. 'The french Dispatch' è un'esplosione accattivante e liberatoria dell'estetica del regista che forse non sempre si integra al meglio ma non rallenta mai abbastanza a lungo da perdere il suo fascino. In altre mani un materiale del genere avrebbe potuto far naufragare qualsiasi progetto ma l’approccio giocoso alla narrativa e l’acrobazia vertiginosa delle immagini lo rende un piacevole guazzabuglio che si reinventa continuamente.
Certo un film sul giornalismo molto diverso, addirittura agli antipodi, di 'Tutti gli uomini del presidente' o 'Il caso Spotlight' ma anche se talvolta la coerenza narrativa latita resta comunque una poetica elegia, il tributo di Anderson ad una generazione di geni complicati (tanto per dire, uno dei collaboratori più prestigiosi del New Yorker è Woody Allen) che hanno trovato la poesia nelle strade e gli eroi sui marciapiedi sfidando l'establishment e rappresentando una ‘nouvelle vague’ tanto influente quanto il cinema travolgente dello stesso periodo.
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A Cannes il bizzarro pastiche di Wes Anderson
Presentato in concorso 'The French Dispatch'
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