Non è andato tutto bene, come ci dicevamo dai balconi quando la mannaia del lock down è calata sulle nostre vite, in un giorno di marzo del 2020. Non siamo diventati migliori dopo questa esperienza, che vorremmo già finita e che non lo è ancora, come auspicavamo nel pieno della pandemia, quando ci facevamo forza.
Ci sono 130 mila morti, che salgono ogni giorno, ancora di almeno 50, in un conto davanti al quale oggi giriamo un po’ lo sguardo. Ci sono decine di migliaia di ammalati guariti che portano dentro di sè gli strascichi di un virus di cui non sappiamo ancora cose fondamentali: 1) come si è scatenato; 2) come e quando e se sarà finalmente debellato-controllato.
Ci sono danni ancora incalcolabili a un’economia, che mostra la risalita, ma che lascia sul terreno molta più povertà, molta più incertezza. C’è questa sensazione di fragilità delle nostre difese civili, sociali, sanitarie, solo compensate dalla genialità del vaccino trovato in tempi record, dall’eroismo e dalla efficienza di tanti medici, di tanti infermieri, di tanti manager, in un sistema che non immaginava un attacco simile, se non in qualche ipotesi di scuola.
Ecco, all’inizio di ottobre dall’Anno Terzo della grande sfida planetaria, facciamo fatica a fare i conti con quello che è successo e sta ancora succedendo, in un mondo squassato a ogni latitudine, vaccinato solo in parte, diviso sullo stesso antidoto del vaccino e sui suoi lasciapassare, disinformato, ancora sospeso sul baratro dell’ignoto.
Preferiamo parlare d’altro, metterci la mascherina o togliercela, scoprirci diversi, quando incontriamo dopo tanto tempo amici, parenti, conoscenti, inghiottiti come noi dalla separazione forzata di questi due anni, ma non dircelo. Che siamo diversi.
Preferiamo non fare tanti calcoli sui danni subiti, da quelli dei nostri bambini e ragazzi, che hanno vissuto infanzie e adolescenze tranciate dall’invasione del virus, a quelli di tante attività economiche stroncate, azzoppate, a quelli morali di uno status imprevisto, quasi bellico, comunque indefinibile, di privazione delle libertà elementari.
Speriamo che questa emergenza evapori o che l’abitudine alle regole che ancora essa impone, ci renda assuefatti a un nuovo stato, una nuova condizione umana, nei rapporti tra di noi, nel vivere civile, nella limitazione a tante libertà, nel cambio impressionate ( e quindi inconsciamente respinto) del nostro stato di cittadini del terzo Millennio.
Eppure qualche bilancio dobbiamo tirarlo, anche nel nostro mondo, magari più piccolo, più quotidiano, e non solo per aiutare noi stessi e chi ci sta più vicino in famiglia, in casa, a scuola, nel nostro lavoro, in quella, che si definisce banalmente la nostra quotidianeità, a fronte dello sconquasso planetario.
Il nostro sistema sanitario, che ha retto alla tempesta, fino a che punto si riformerà dopo questa esperienza? Non è solo una questione di posti in rianimazione, di reparti Covid e di numero di infermieri e medici mobilitati in questa terribile fisarmonica. Non è solo questione di medicina di base, di rapporto tra il cittadino- paziente e il suo medico, il suo ambulatorio, il suo studio. E’ una visione più complessiva che aspettiamo cambi e non crediamo che lo sia cambiata, mentre i numeri dei contagi calano e quello dei morti un po’ meno. E mentre i vaccini, prima, seconda, terza dose avanzano nel nostro mondo “protetto” e altrove, da dove il virus può tornare con le sue varianti, no, molto meno.
Il nostro sistema sociale, il famoso welfare, quella rete di protezione stesa dal progresso e dalla coscienza civile, maturata nei secoli, tra guerre, rivoluzioni e riforme, quanto ha imparato da questa catastrofe?
Il nostro sistema politico-istituzionale, che oggi “gioca” con la “Bestia” Morisi, che si scanna per le condanne esagerate della magistratura, che procede nei suoi meandri asfittici di attese per le elezioni di Parlamenti e Presidenti della Repubblica, contorcendosi nelle sue alleanze tutte per aria, la Destra che fa i capricci, la Sinistra impalpabile, i candidati a sindaco quasi introvabili nelle grandi città, in un deserto della politica, come esce? Ha imparato qualcosa dalla più grande vicenda capitata dopo la guerra?
Camminiamo per le strade delle nostre città ancora un po’ circospetti, con la mascherina un po’ si e un po’ no, con il naso fuori o dentro, come ha acutamente ricordato Mario Paternostro qualche tempo fa su questo giornale. Ma non sappiamo.
salute e medicina
Non siamo migliori e non è andato tutto bene: primo bilancio di quasi fine pandemia
Preferiamo parlare d'altro, ma non dircelo. Che siamo diversi.
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