Politica

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Una geniale vignetta ai tempi della guerra del Kosovo -non ricordo l’autore- mostrava un interruttore: si poteva scegliere solo tra “on” e “on”. Assenza di qualsiasi alternativa. Il nesso tra quella vignetta e la nomina del Presidente dell’Autorità Portuale di Genova mi pare evidente e deriva dall’identico atteggiamento, volitivo e rinunciatario, dei partiti e della politica in generale. Tutti quanti in attesa che la sindaca di Genova formuli la sua proposta da sottoporre al giudizio del ministro, assieme alle altre due che arriveranno dal presidente della Provincia e dalla Camera di Commercio. Senza che si sia aperta una grande e articolata discussione sul futuro della portualità genovese; senza aver attivato percorsi di partecipazione e aver dato voce all’intelligenza sociale. Facendo carta straccia del capitolo su democrazia e partecipazione contenuto nel programma elettorale. Risolvendo dentro a percorsi istituzionali un tema che riguarda l’insieme della collettività genovese e ligure e che avrebbe invece bisogno di un grande percorso di partecipazione sociale.

Più che l’ennesima occasione persa, mi sembra una ulteriore sconfitta della politica, che si aggiunge alle tante abdicazioni della politica nel recente passato.

La nomina del Presidente del porto è solo una faccia della partita sociale, economica e democratica, che si gioca oggi nelle grandi città. Sul territorio precipitano i grandi interessi del liberismo all’italiana. Per dirla in modo semplice: il capitale investe sul territorio, sulla città, sui servizi pubblici. Le forme che questa invasione assume sono le grandi opere (necessarie solo, come ammettono i liberisti meno bugiardi, a “far girare il denaro” pubblico verso le tasche private) la “liberalizzazione” dei servizi pubblici, l’uso speculativo e finanziario delle città.

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una “ubriacatura” liberista, che ha coinvolto in maniera indiscriminata tutti gli enti locali, dove ha prevalso una logica di svalorizzazione della gestione pubblica, per consegnare ai privati e ai mercati finanziari beni primari, come l’acqua e l’energia, e beni sociali, come l’insieme dei servizi pubblici locali. Venti e più anni di politiche liberiste hanno dimostrato che le liberalizzazioni e le privatizzazioni hanno dovunque peggiorato le condizioni di lavoro, aumentato le tariffe, diminuita la qualità dei servizi. Oltre al depauperamento delle conoscenze acquisite in anni di gestioni pubbliche e ad uno svuotamento del controllo democratico e della partecipazione sociale. Inoltre, con il capitale pubblico, si sono create società per azioni del tutto inutili per stipendiare un esercito di consiglieri di amministrazione e di consulenti. Oggi occorre una profonda riforma di questo sistema, che vada ben oltre al processo di contenimento della spesa avviata dal Governo Prodi con la riduzione del numero dei consiglieri di amministrazione.

Ma soprattutto occorre che la politica possa ripristinare il tasto “off” mancante sull’interrutore di quella geniale vignetta.