Il 26 marzo del 1893, quindi esattamente centotrenta anni fa nasceva a Genova Palmiro Togliatti, padre fondatore del vecchio Pci, quello per intenderci che si opponeva fieramente alla Democrazia Cristiana, che stava con le “masse operaie” e che arrivò a prendere quasi otto milioni di voti nelle elezioni del 1963, cioè sessant’anni fa, ma che, nonostante gli sforzi dello stesso Togliatti, non riuscì mai a governare in Italia. Ci arrivò vicino nel 1978, con il compromesso storico di Aldo Moro e Enrico Berlinguer, ma il fuoco delle Brigate rosse lo impedì. Così l’ipotesi di governare insieme finì per sempre.
Dunque Togliatti è genovese. Nacque la domenica delle Palme e per questo lo chiamarono Palmiro e fu battezzato nella splendida chiesa genovese.
La casa di Togliatti era in via all’Albergo dei Poveri che poi divenne via Bellucci. Qui c’era il Convitto Nazionale. C’è al secondo piano un grande cortile e su questo la porta dell’appartamento dell’economo, perché Antonio Togliatti, il padre del segretario era l’economo di questa scuola. Un appartamento modesto, tre stanze. Togliatti è nato in una di queste camere, la più piccola.
Nel 1963, a novembre, quando il leader storico del Pci venne a Genova per l’ultima volta a inaugurare la sezione Gramsci-Olcese dei portuali, (morirà improvvisamente a Yalta l’estate del 1964), e a tenere un comizio affollatissimo, l’Unità raccontò una visita nella vecchia casa della famiglia e nell’antico istituto che era a fianco allo storico liceo Classico Colombo. Nella sala d’attesa della scuola una vecchissima fotografia del collegio, un’ immagine del 1892 che era stato un anno eccezionale per Genova perché si erano celebrati i quattrocento anni della scoperta dell’America.
Il Convitto Nazionale non mancò di prender parte alle feste, invitando rappresentanze di rettori, professori e alunni dei convitti di altre città italiane. Quelle rappresentanze, appunto, che sono raffigurate, racconta il cronista, volti barbuti e baffi spioventi, stretti in abbottonatissime marsine in una vecchia foto di sessant’anni fa. Tra quegli illustri rappresentanti, seduto in prima fila, c'è l'economo del convitto di Genova, il signor Antonio Togliatti. “Devono essere stati, quelli, giorni difficili, carichi di preoccupazioni per il giovane economo che aveva addosso tutto il peso dell'intiera organizzazione, con tanta gente venuta di fuori da sfamare e da sistemare, avendo a disposizione magri bilanci affidati alle sue cure.”. Il giovane Antonio Togliatti era entrato da poco in possesso del suo ufficio a Genova, dov'era arrivato con la moglie Teresa Viale e i suoi due primi figlioletti Maria Cristina, poi professoressa in una scuola media torinese ed Eugenio, illustre titolare della cattedra di matematica all'Università di Genova, morto nel 1977.
Vita di studio com'è nelle norme e nelle tradizioni dei convitti nazionali, l'economo deve abitare nel convitto ed Antonio Togliatti si adattò in quello stretto mezzanino dove condusse, per tutto il tempo che rimase a Genova, in quell'ambiente severo, una vita solitaria di studio, di lavoro e di intimità familiare, tra le ristrettezze che comportava il suo stipendio di funzionario dei regi convitti.
La vita di collegio, d'altra parte, concedeva ben poche occasioni di uscire da quelle mura, se non per qualche “prima” al teatro Paganini.
Raccontò una volta la sua infanzia genovese lo stesso Palmiro. La maggior distrazione e il più grande divertimento per i genovesi, come anche per la famiglia Togliatti, era costituito dalle passeggiate domenicali in campagna, fuori del centro della città. Andare in campagna significava allontanarsi poche centinaia di metri da Genova, salire a Manin, a San Francesco d'Albaro, a Castelletto o a San Nicola tra roseti, limoni, orti e ville. D’estate, quando il collegio si svuotava dei convittori, si trascorreva la villeggiatura sulle alture di Genova. Il primo anno fu a Borzoli, poi a Granarolo, infine a San Desiderio di Bavari che divenne, fino al 1896, la villeggiatura della famiglia. Fu, infatti, nel dicembre di quell'anno che Antonio Togliatti venne trasferito a Novara e vi portò tutta la famiglia. Il “compagno Togliatti” trascorse, quindi, a Genova i suoi primi quattro anni.
Antonio Agosti aveva allora appena vent’anni e accompagnò il giornalista dell’Unità nella visita. Agosti conservava un ricordo limpidissimo del padre di Palmiro. “Era un uomo pensieroso e affabile, semplice e amante della sua famiglia. Quando nacque Palmiro Togliatti fu una grande festa nella famiglia dell'economo, ma fu una grande festa anche per tutto il convitto, che era come una grossa famiglia”. E questo signore si commoveva mostrando quei vecchi ricordi e la stanzetta in cui nacque il Migliore. “Poi uscito da questo antico collegio genovese iniziò il suo cammino e la sua vita di lotta”.
Sessant’anni fa, il 1963, fu un anno di svolta. Con la Dc (oltre undici milioni di voti) vincitrice, ma in forte calo. Fu la fine del centrismo e l’inizio, anche se contrastato, del centrosinistra organico, cioè dei governi con dentro anche i socialisti. Curioso che una delle prime città governata dal centrosinistra fu proprio la Genova di Vittorio Pertusio, nel 1961, subito dopo l’esperimento di Milano.
Nel 1963 Togliatti, il 20 marzo, tenne a Bergamo uno storico discorso che aprì decisamente al confronto/dialogo con i cattolici. Il papa era Giovanni XXIII.
Disse Togliatti dal palco del teatro bergamasco che “lo spirito della crociata non e più adeguato alle trasformazioni in atto, che esaltano e spaventano insieme come accade per il possesso di armi che possono condurre allo sterminio dell'umanità…… la pace oggi non è soltanto un bene, è una necessità. Gli uomini debbono unirsi per rispettare questa necessità, per evitare l’annientamento. Ed è su questo elemento che noi chiamiamo a confronto i cattolici… Abbiamo masse di credenti nelle nostre file, nelle nostre forze elettorali, ai quali rivolgiamo il nostro appello a favorire il progresso della democrazia, della libertà, del benessere nel nostro paese. Ma ci rivolgiamo, in pari tempo, alle masse di lavoratori cattolici. invitandoli a prendere conoscenza delle nostre posizioni, a pensare a qual è l'avvenire che ci aspetta: invitandoli a comprendere che per avanzare, per risolvere i problemi che si pongono all'umanità occorre un'ampia collaborazione di tutte le masse lavoratrici e di tutti gli uomini di buona volontà”.
La cronaca era firmata da un grande giornalista, Kino Marzullo.
Quando sul mensile del Pci “Rinascita” uscì integrale il discorso di Bergamo scoppiò anche la solita polemica all’italiana. Giovanni XXIII firmò l’enciclica “Pacem in Terris” l’11 aprile del 1963. Venti giorni dopo il discorso sul Destino dell’uomo. Cominciava così l’Enciclica: “A tutti gli uomini di buona volontà, credenti e non credenti, perché la Chiesa deve guardare ad un mondo senza confini e senza "blocchi", e non appartiene né all'Occidente né all'Oriente…. cerchino, tutte le nazioni, tutte le comunità politiche, il dialogo, il negoziato. Bisogna ricercare ciò che unisce, tralasciando ciò che divide.“. Fa effetto, oggi, ascoltare quelle parole così drammaticamente attuali.
Qualcuno disse: ma è quello che ha detto Togliatti.
Di più. Dissero che il segretario del Pci aveva saputo, chissà da chi, in anticipo il contenuto dell’ultima enciclica del papa, che scrisse con i suoi stretti collaboratori quando era già consumato dal tumore allo stomaco che lo stroncherà due mesi dopo. Anzi, in seguito il vaticanista dell’ Unità, Alceste Santini raccontò che Togliatti aveva saputo in anticipo quello che avrebbe scritto Giovanni XXIII rimanendo entusiasta dei temi che il pontefice aveva trattato.
Togliatti non si risparmiò di definirla addirittura un’enciclica rivoluzionaria!
Spiegò Santini: “A fornire a Togliatti gli elementi per la sua riflessione era stato Franco Rodano (dirigente di spicco comunista e cattolico)…. il quale si era sempre posto il problema di un rapporto nuovo tra cattolicesimo e modernità e della comprensione da parte della Chiesa del mondo comunista che, allora, era una grande realtà politica mondiale….Ed era stato Rodano a dire a Togliatti nella metà di febbraio del 1963 che in Vaticano si stava preparando l’enciclica Pacem in Terris e il contenuto di partenza sarebbe stato la famiglia umana, considerata una e indivisibile….Senza questa informazione preziosa Togliatti non avrebbe potuto scrivere quel discorso che assunse maggiore rilievo dopo la pubblicazione dell’enciclica fino ad influenzare la sinistra italiana, europea e mondiale”.
Insomma, il rapporto fra comunisti e cattolici fu sempre vivace. Con sostenitori da una parte e dall’altra, ma anche con duri oppositori.
Curioso e intrigante in questa lunga vicenda, il ruolo dell’arcivescovo di Genova, Giuseppe Siri che in quegli anni era al vertice della Cei, la Conferenza episcopale italiana che teneva i rapporti politici tra Vaticano-vescovi e governo. Siri tentò in tutti i modi di bloccare l’accordo che Moro e Fanfani vollero con Nenni.
Lo fece anche a Genova, scontrandosi apertamente con Pertusio, tanto da dettare, un durissimo corsivo sull’edizione del 7 febbraio del quotidiano cattolico Il Cittadino: “Nessuno voglia credere che noi si abbia cambiato parere. Esso è stato nettamente, chiaramente, tempestivamente espresso. Diciamo senza acredine alcuna verso le persone, la nostra amarezza e quanto la amarezza contiene.”. Successivamente il segretario di Siri informò il sindaco neo-eletto di essere esonerato dalla rituale vista all' episcopato, e aggiunse che gli sarebbero stati applicati i “sacri moniti” e che il sindaco non sarebbe stato ammesso alle rituali processioni di San Giovanni Battista e del Corpus Domini. Ma raccontò Siri al suo biografo Benny Lai: “Pochi giorni dopo la formazione della sua giunta di centro sinistra io gli telefonai e gli dissi in genovese, io con gli amici e la gente del popolo da dove provenivo ho sempre parlato in genovese, gli dissi: Vuscià se recordi che l’è u mè scindacu. E Pertusio mi ripose: E vuscià u l’è u mae Cardinale!”. Poi sua eminenza scrisse direttamente all’onorevole Moro. Ma il centrosinistra nacque lo stesso.
Nel marzo del 1988, un anno prima di morire, il cardinale fu intervistato da due giornalisti del mensile “30 Giorni”. Raccontò testualmente: “Le rivelo un piccolo segreto: lo sa con chi aveva preso l’ultimo appuntamento nel 1964 Palmiro Togliatti, prima di morire? Con me, ma poi dovette partire per la Russia e tornò in Italia dentro una bara. Nessuno mi toglie dalla testa che in me cercava il prete e non solo il rappresentante di una istituzione".
Sono pagine attuali nonostante gli anni trascorsi, non tanto per il dialogo fra cattolici e “comunisti”, quanto per lo stile dei rapporti che esisteva, anche fra avversari. E che avversari! La memoria fa bene a noi certamente, ma farebbe ancora più bene a chi la politica la pratica tutti i giorni e a tutti i livelli.
IL COMMENTO
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