Non è stato lo stesso 25 novembre di tutti gli altri anni. A qualche giorno di distanza dalla Giornata per l'eliminazione della violenza sulle donne, se si cerca su Google la parola "donne" sono ancora tanti gli articoli recenti che tengono alta l'attenzione su una tematica per cui solitamente ci si faceva un post, una panchina, un segno rosso sul viso e poi si teneva da parte fino all'ennesimo, nuovo e chissà perché più eclatante caso di femminicidio rispetto agli altri. Questa volta no, qualcosa forse si è rotto. Oppure siamo soltanto in attesa di una nuova grande notizia che faccia ripiombare tutte le parole spese di nuovo nel dimenticatoio, secondo quello che è il trend dell'informazione di oggi - come evidenziato da Franco Manzitti nel suo ultimo commento.
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Questa volta, però, non voglio cancellare tutte quelle testimonianze, tutte quelle disparità, tutti quegli episodi che ogni volta mi fanno alzare gli occhi al cielo e stare zitta, dicendomi "lascia perdere, tanto...". Questa volta è bene fare squadra e far sentire la nostra voce, tutte insieme, approfittando di ogni occasione per tenere i fari accesi su tutto quello che ancora non va.
Nelle sale fa record di incassi "C'è ancora domani", il film di Paola Cortellesi e al cinema anche gli uomini si commuovono di fronte alla vita di una famiglia e di una donna come tante nell'Italia del dopoguerra. Dal 1946 ad oggi, di passi se ne sono fatti tanti, ma certe scene sono le stesse, in bianco e nero allora e oggi a colori. Un pugno allo stomaco che arriva dritto con una verità scomoda da accettare: quella che in fondo ancora per molti una donna dovrebbe pensare a provvedere alla famiglia, non parlare troppo, non avere grilli per la testa, non farsi notare... Com'era vestita? Eh, però è andata a casa sua, allora ci stava! Ma cosa ne vuoi sapere tu che sei una donna? A bella, oh fermati! Le testimonianze che con le colleghe della redazione abbiamo raccolto - tutte vissute sulla nostra pelle - riecheggiano continuamente nella mia mente.
Ma c'è ancora domani. E per domani ho quattro auspici. Il primo è che gli uomini capiscano che un no è un no, che "è finita" significa che bisogna voltare pagina entrambi, che un apprezzamento in mezzo alla strada - magari di notte - non è un gesto gradito, così come non lo è sul lavoro. Accettare un rifiuto, persino anche quando sembrava "starci" lasciare libera la propria compagna di fare le sue scelte, rispettare la collega e apprezzarla per le sue capacità anziché per altre doti. Una battuta in meno e un gesto di stima in più, ascoltare di più e pensare meno di avere ragione.
Il secondo è che la società, gli amici, la famiglia imparino a riconoscere le situazioni che potenzialmente sono tossiche, sbagliate, pericolose e che possano fare di più che mettere semplicemente in guardia la vittima. Noi donne possiamo anche imparare a difenderci, in un mondo dove la sicurezza per strada non è garantita. Ma come dice un altro monologo di Paola Cortellesi, "non è colpa nostra, non è colpa mia". Non è colpa della donna se una relazione va male, se lo schiaffo arriva "perché l'ho fatto arrabbiare", se è depresso "perché l'ho lasciato", se ci provano "perché mi sono vestita con quella gonna troppo corta", se mi sono fidata. Non è colpa della vittima, mai e in nessun caso. La vittima viene spesso lasciata sola con il proprio carnefice, invece è importante aiutarla ad essere libera, a denunciare e proteggerla.
Il terzo è che l'accesso al sostegno psicologico sia più facile per tutti, tutte le potenziali vittime e tutti i potenziali carnefici. In un'altra analisi sul nostro sito del direttore Matteo Cantile si proponeva più che lezioni all'educazione sentimentale in classe uno di buone maniere. Io ritengo che per i tempi in cui viviamo, specialmente le giovani generazioni abbiano bisogno di poter rivolgersi ad uno psicologo. Imparare da una parte ad analizzare razionalmente le proprie relazioni, indagare sé stessi, ma anche dall'altra capire come accettare il rifiuto e dove trovare punti fermi in un mondo sempre più privo di rispetto, di pazienza, di ascolto, credo che sia la miglior lezione e il miglior sostegno che possiamo dare alle future generazioni.
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Il quarto è che la mentalità cambi per davvero e che non ci sia bisogno dei miei tre auspici precedenti. Per farlo, bisogna partire dalla politica che deve iniziare a promuovere per davvero le pari opportunità: noi donne siamo stanche di vedere contratti incerti da rinnovare all'annuncio di una gravidanza, stipendi più bassi e promozioni che non arrivano perché è ancora un mondo di uomini nonostante tante donne capaci, congedi paternità pari a quelli maternità che mettano sullo stesso piano papà e mamma. E che si parli di donne perché sono brave, perché hanno lasciato il segno nella storia, nel loro impegno, nell'arte e non soltanto perché sono donne, vittime. L'esempio, per tutti, parte da lì. E allora siamo ancora ferme a quel 1946 per tanti aspetti. Ma c'è ancora domani.
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