Commenti

2 minuti e 54 secondi di lettura
di Matteo Cantile

Quest'anno ho fatto metà e metà: il 50% dei miei regali natalizi li ho acquistati online, l'altro 50 in negozi fisici. E le mie scelte personali, che come tutte sono il frutto di situazioni specifiche e per questo non fanno casistica, mi hanno dato lo spunto per una riflessione da divano, quelle da post pranzo di Natale. Stiamo abbandonando i nostri commercianti?

La risposta è tendenzialmente si: l'offerta delle piattaforme digitali, da Amazon in giù, è così invasiva, conveniente e bene organizzata che non c'è nulla che si possa fare per evitare di picchiarci dentro, prima o poi. E gli appelli a “comprare sotto casa”, che pure sono meritevoli della massima considerazione, sono destinati a cadere nel vuoto senza un piano più complessivo di difesa del piccolo e grande commercio.

Non credo che ci siano molti argomenti più importanti di questo e mi stupisce che in Italia, e di conseguenza anche in Liguria, non se ne parli praticamente mai. Pensate per un attimo alle conseguenze di una società che acquista solo su internet: il denaro esce dalla città, spesso dal Paese, e smette di circolare; i prodotti devono essere consegnati sulla porta di casa, con un esponenziale incremento di furgoni che intasano le strade ; nel medio periodo i negozi fisici sono costretti a chiudere, lasciando strade buie, vuote, abbandonate. Siamo ancora abbastanza lontani da questa apocalisse ma se non facciamo qualcosa subito il destino è segnato.

Persino la grande distribuzione, che oggi sembra il primo nemico dei negozi di quartiere, assomiglia a un morto che cammina: negli Stati Uniti, in cui l'abitudine a comprare online è più radicata e coinvolge anche la spesa alimentare, sono migliaia i punti vendita fisici che hanno abbassato le saracinesche negli ultimi anni. Persino Walmart, la più grande catena di supermercati d'America (mettete insieme Esselunga, Coop, Basko, Conad, moltiplicate per mille e avrete idea della dimensione), sta facendo fuori una quantità impressionante di centri commerciali (e dipendenti). E riconverte tutto in magazzini di periferia e furgoni carichi di sacchetti. 

La difesa dei negozi fatti di mura, scaffali e, soprattutto, persone, non può essere però demandata ai consumatori finali: non siamo noi che dobbiamo spendere un po' di più o perdere più tempo per fare gli acquisti, sono i governi che devono creare le condizioni affinché le nostre città non vengano private della loro anima.

E siccome la sproporzione tra una multinazionale e il negozio all'angolo in termini di vastità di offerta e competitività economica è gigantesca, l'unica soluzione che vedo è collegata alla leva fiscale: le transazioni online vanno tassate, quelle fisiche detassate. Non c'è altra strada.

Compri online perché lo fai dal divano senza bisogno di uscire o perché l'offerta di tipologie di prodotto è sterminata? Nessun problema ma nella transazione paghi la 'tassa online'. Quel gettito serve a gestire il traffico stradale generato dal tuo gesto, sostiene l'economia locale privata del tuo contributo e salva la città in cui vivi. Se, al contrario, compri sotto casa devi essere incentivato: potremmo togliere l'Iva (un bel 22% di sconto), trovare altre forme di incentivazione statale, dedicare parte dei fondi europei a un generalizzato sostegno al pagamento degli affitti commerciali o qualunque altra cosa venga in mente.

Io sono un liberale e detesto suggerire l'imposizione di nuove tasse: ma sono anche un cittadino che non vuole vivere chiuso in casa, senza incontrare mai nessuno, in una città buia e desolata. Non sarà la buona volontà dei singoli a difendere la nostra civiltà: non voglio vivere in una città senza negozi, si faccia qualcosa adesso prima che sia troppo tardi.