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di Giampiero Cama

Da molti anni studiosi e osservatori della politica italiana hanno sottolineato la estrema volatilità delle scelte elettorali. In realtà si tratta di un fenomeno che si è verificato prevalentemente, con l’eccezione del momento di massima espansione del Movimento 5 Stelle, all’interno delle aree politiche di centrodestra e centrosinistra, modificando più che altro, anche se spesso radicalmente, i rapporti di forza tra i partiti che ne formano le rispettive coalizioni. La grande fluidità degli spostamenti elettorali è legata alla progressiva diminuzione del voto di appartenenza, a sua volta connesso al declino delle grandi ideologie “catalizzatrici” che hanno caratterizzato gran parte della nostra storia recente. Queste hanno contribuito infatti a strutturare lo spazio politico del paese favorendo la stabilità degli orientamenti politici per lungo tempo.

Tutto è cambiato con l’avvento di due grandi trasformazioni. Da un lato, la crescente frammentazione del mondo del lavoro, non più caratterizzato da grandi concentrazioni industriali, ma contraddistinto, piuttosto, da piccole e medie imprese, prevalentemente nell’ambito del settore terziario. Ne è conseguita una spiccata dispersione delle unità lavorative accompagnata da una progressiva diminuzione della coesione sociale e da una crescente attitudine individualistica. Dall’altro, l’indebolimento delle associazioni intermedie (quali, ad esempio, le organizzazioni sindacali o le diverse realtà associative collegate ai partiti, alla chiesa cattolica e alle comunità locali) che fungevano da canale di trasmissione e conservazione delle principali culture politiche.

 

Le tensioni interne alle coalizioni di maggioranza e opposizione

Tutti questi aspetti sono stati abbondantemente discussi e analizzati sia nel ristretto ambito della comunità accademica e scientifica che nello spazio più ampio del dibattito pubblico. Un aspetto poco considerato della volatilità elettorale riguarda invece i suoi riflessi sulla coesione delle coalizioni di governo e di opposizione. Esiste infatti, a mio avviso, un collegamento tra questo fenomeno e le continue turbolenze che affliggono sia l’attuale maggioranza sia il “cantiere” ancora in progress delle forze di opposizione.

Tutti possono constatare il continuo, a tratti vorticoso, riposizionamento dei partiti dentro le alleanze, teso a marcare le differenze e le distanze sulle diverse questioni poste di volta in volta all’ordine del giorno. Ciò provoca una spirale crescente di tensioni e fibrillazioni che vede coinvolti i leader e le figure di secondo piano di entrambi gli schieramenti. Ecco perché si palesano con sempre maggiore evidenza i conflitti e le schermaglie polemiche, dentro la coalizione dell’attuale maggioranza, tra Salvini e Tajani (ultimamente intorno alla questione dei diritti di cittadinanza), così come i dissidi di entrambi nei confronti della Meloni e del suo partito. Nell’altra sponda non sono da meno. In molte circostanze la vis polemica dei partiti e dei leader di opposizione sembra indirizzarsi con maggiore veemenza verso i potenziali alleati che verso gli esponenti e le politiche del governo. Il recente strappo di Conte in relazione alla faticosa costruzione del cosiddetto campo largo non è che una delle manifestazioni vistose di tali dinamiche (per non parlare della marcata distanza, già in precedenza, in tema di politica estera e di sicurezza).

In certa misura la competizione interna alle coalizioni è fisiologica, e anzi favorisce, in giusta misura, la raccolta del sostegno tra settori ampi ed eterogenei della cittadinanza. Da qualche tempo, tuttavia, essa sembra aver superati i limiti oltre i quali tende a ridurre l’efficacia dell’azione politica tanto delle forze di governo quanto di opposizione.

 

La fluidità dei rapporti di forza dentro le coalizioni

L’elevata intensità delle tensioni intra-coalizionale è probabilmente dovuta a diversi fattori, tra i quali la configurazione dei nostri assetti istituzionali, dal sistema elettorale alle regole che disciplinano il funzionamento dell’esecutivo e del Parlamento. Ma anche la volatilità elettorale - alimentata da una accentuata mutevolezza di umori e di attitudini di un’opinione pubblica sempre più disorientata e in cerca parossistica di nuovi leader e nuove offerte politiche - non ha un impatto secondario in tal senso.

Essa incide soprattutto su un aspetto cruciale: il mutamento rapido, e la conseguente precarietà, delle gerarchie tra i partiti e delle rispettive leadership. L’instabilità delle gerarchie e dei rapporti di forza ha l’importante effetto di generare aspettative di un rapido rovesciamento delle fortune. Nel passato i diversi partiti della “prima repubblica” si “rassegnavano” a una certa fissità del panorama politico, che congelava i ruoli rispettivi di partito egemone e di “junior partner” (cioè partner minore) all’interno di una coalizione. Ne derivava una competizione intra-coalizionale meno accesa, dal momento che la posta in gioco non era così elevata (la leadership appunto) e riguardava tutto sommato spostamenti e guadagni marginali tra le diverse forze politiche. Viceversa, le rapide ascese e le altrettanto rapide cadute degli ultimi anni hanno provocato un senso di precarietà nei leader e nei partiti che si avvicendano al potere (basti ricordare le alterne parabole di Renzi, Grillo, Salvini e Conte). Inoltre, ed è questo l’aspetto più importante, hanno incoraggiato incessanti e aspre contese per ottenere una rapida inversione dei ruoli all’interno delle alleanze. Anche per queste ragioni Salvini e Tajani non riconoscono sino in fondo la legittimità della Meloni a guidare il governo e l’alleanza di centro-destra (anche cercando di logorarne la popolarità); analogamente Conte fatica ad accettare il ruolo centrale della Schlein e del Partito Democratico nel centro-sinistra.

Nel passato l’instabilità dei governi si combinava con una elevata stabilità delle coalizioni. La volatilità elettorale ha, almeno sino ad oggi, cambiato lo scenario, facendo sì che le turbolenze e le tensioni interne alle coalizioni si accompagnino ad una navigazione travagliata dei governi. Ciò è dovuto al fatto che tali fibrillazioni riducono l’operatività degli esecutivi, rallentandone l’azione e disincentivando politiche pubbliche improntate a una visione strategica e di largo respiro. Adeguate riforme istituzionali potrebbero attenuare l’impatto di questo fenomeno, ma forse non sarebbero sufficienti senza la ricostruzione - impresa piuttosto ardua a dire il vero - di culture politiche più solide e strutturate delle attuali.

Giampiero Cama*
Università di Genova
Dipartimento di Scienze Politiche e Internazionali