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di Franco Manzitti

Bisognerebbe indagare sullo spirito della famiglia Doria, nata in secula seculorum a Imperia-Oneglia, ma diventata una potenza mondiale a Genova, per sciogliere il nodo che lega oggi la vittoria regionale di Marco Bucci con la sua sconfitta “interna “ a Genova, dove il Pd è tornato dopo un decennio a essere in larga misura il primo partito.

Solo i Doria potrebbero spiegare come e perché l’iniezione di voti imperiesi ha consentito a Bucci di vincere tutta la partita, mentre stava perdendo quella genovese. Ma la storia antica spesso non serve a spiegare. Serve solo a noi per divertirci a interpretare un risultato elettorale.

Certamente il risultato genovese è oggi solo un conforto, una specie di premio di consolazione per il centro sinistra, sconfitto e anche molto sbigottito di non avercela fatta, dopo tante previsioni favorevoli. E Luigi Leone ha spiegato già bene come la dinasty Scajola ha contribuito a “annullare” quella previsione con il suo “storico” ruolo nella politica ligure.

Ci sono tanti modi di leggere il risultato di domenica e lunedi, che ha tanto peso per noi, ma che lancia un segnale forte per la politica nazionale.

Il campo largo, così come lo avevamo inteso, sparisce, il sistema delle alleanze a sinistra si deve ridefinire e chissà come farà. Ma queste questioni volano alto per noi.

In Liguria ora le partite più a terra sono due. La prima riguarda come Marco Bucci farà il presidente della Regione, adattandosi alle caratteristiche del ruolo, alle sue regole, alle sue competenze o trascinando in piazza De Ferrari e in via Fieschi “il suo metodo”, cercando di diventare “il sindaco dei liguri”? Sembra chiaro che varrà la seconda soluzione, che impatterà anche con la macchina della Regione, che non è quella del Comune. E ne vedremo delle belle.

Il territorio è molto più largo, le istituzioni con cui confrontarsi sono numerose, a incominciare dalle grandi città, ma comprendendo anche quelle medie e quelle piccole.

Ci vuole un lavoro di relazioni e di tessiture, di mediazioni. Un lavoro che per Bucci ha spesso fatto il presidente regionale Giovanni Toti, nettamente più “politico” del sindaco, uomo del fare.

Chi svolgerà oggi quel ruolo delicato con un presidente che è già partito in quinta con le opere da fare, subito e tutte insieme? Non vedo nelle fila della maggioranza a Genova e a Roma questa figura ma magari spunterà.

La seconda partita riguarda gli sconfitti, il centro sinistra, se ancora si può chiamare cosi, dopo gli strappi di Conte per un verso e di Renzi per l’altro.

Oggi il Pd genovese e ligure si trova in una situazione intrigante e pericolosa. Si è radicato di nuovo e profondamente sul territorio sopratutto genovese con quel 30 per cento più spiccioli che lo riporta indietro di un decennio, scavalcandole egemonie fugaci, ma sconvolgenti della Lega e dei 5 Stelle.

Non credo che il risultato boom si spieghi con quello che Bucci ha chiamato “disappunto” verso la sua politica dei cantieri e dei disagi imposti alla città insieme al suo “tradimento”.

Non si riconquistano sopratutto le periferie, le zone del disagio forte solo perché la città sta subendo sofferenze o mancate attenzioni da un sindaco considerato fino a ieri vicino e ultravincente. C’è sempre qualcosa di più profondo.

Il problema del Pd e dei suoi alleati, veri e sinceri e non transeunti, è di capitalizzare questa vittoria dentro la sconfitta in un processo vero di cambiamento politico, che ha bisogno di una svolta secca sopratutto nella ricerca di una leadership locale. Non si può di nuovo correre a chiamare un leader cresciuto “fuori”, come è stato fatto con Orlando, per “tappare” la necessità di una candidatura che per anni non si è trovata, sacrificando in quel ruolo anche figure degne e avviandole a una specie di macello politico.

Ed ecco allora che questa partita comincia subito perché le elezioni comunali sono tra pochi mesi e quel centro sinistra, più sinistra che centro, è attualmente in mutande. La costruzione dal basso non ha funzionato e lo si vede da tempo.

A parte gli appelli dell’ultima ora del cartello dei 106 sostenitori con tante firme illustri, segnali della società civile non ne arrivano. D’altra parte cosa può dare al centro sinistra una classe di corpi intermedi oramai avvoltolata su se stessa. E una classe imprenditoriale sempre più avviata a essere un circolo di rentier che una molla per lo sviluppo.

Nessuno è così bravo come Edoardo Rixi, dall’altra parte dello schieramento, che sette anni fa ha tirato fuori dal cilindro Marco Bucci, che risolse il problema di Tursi e ora quello ancora più grosso, dopo lo scandalo giudiziario, di Piazza De Ferrari.

Fino prova contraria.

Allora grazie a Bucci, che ha tolto un’altra castagna dal fuoco al centro destra. E auguri a Orlando e ai suoi, che nella sconfitta possono trovare almeno una prospettiva di rilancio.