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di Franco Manzitti

Un gigantesco colpo di spugna, in una sola giornata, quella dell’invasione russa in Ucraina, ha cancellato la pandemia dagli schermi televisivi, perfino dalla rete capillare dei social, per non parlare dalle cronache dei giornali. Ce lo aveva subito ricordato qualche tempo fa su questo giornale Mario Paternostro. Non si era mai visto un “esproprio” così colossale di un tema di comunicazione che martellava da due anni esatti l’opinione pubblica. Quello che riempiva massicciamente e con pochissime variazioni il “front page” italiano ( e non solo), la pandemia, le sue statistiche, i suoi reportages, le interviste, il fiume ininterrotto delle consultazioni a qualsivoglia esperto, scienziato, medico, sociologo, politico o pubblico amministratore in materia, è sparito come se l’informazione fosse stata toccata da una bacchetta magica.

La grande differenza è che dalla pandemia, seppure lentamente, seppure con molti distinguo, stavamo uscendo anche nel volume dell’informazione, anche nel dettaglio degli approfondimenti, con la stretta dell’angoscia che si stava allentando. Mentre l’emergenza bellica ci ha come stretto un nuovo cappio molto più soffocante. Parliamoci chiaro: i generali e gli esperti bellici che vengono intervistati per descrivere scenari di guerra, con davanti la cartina dell’Europa, i nostri confini, quelli dei paesi in conflitto reale o possibile, sono ben più  angoscianti del peggior virologo, dell’esperto più pessimista sulle evoluzione del Covid 19. In due anni avevamo imparato a modulare le paure davanti al terrificante diffondersi di una epidemia tanto planetaria da sembrare non lasciar scampo. C’erano inizialmente i pessimisti drastici, come il Cristanti delle prime apparizioni o il Galli delle prime interviste, per non parlare dei  consulenti di Speranza. Ma c’erano anche, e sopratutto nella prima fase, quella del lock down del marzo 2020, anche le voci meno pessimiste alle quali ti potevi appoggiare per non perdere la speranza.

Prima su tutti, Ilaria Capua dagli Stati Uniti, una voce forte e tranquilla, molto didascalica, molto precisa, che tracciava scenari in qualche modo certi, senza forzare, senza illudere, ma anche senza far disperare. Ma c’erano anche gli esperti del Cts, che ogni giorno, alle fatidiche ore 18 del bollettino della Protezione Civile, oltre a fornire le cifre inizialmente terrificanti dei contagiati e dei morti (in vertiginosa salita), ammanivano anche spiegazioni e interpretazioni. Uno su tutti, il presidente del Comitato governativo, Franco Locatelli, grande pediatra oncologo, con una capacità espressiva fortissima e anche una umanità carica di sentimento, che attutiva la catastrofe epidemica con spiegazioni che fornivano spiragli di speranza. Poi c’erano anche i virologi e gli infettivologi in servizio permanente  continuato sul video, nel profluvio di trasmissioni tv ad ogni ora e continuativamente, che altalenavano i pareri, il nostro Matteo Bassetti genovese, sicuramente il più consultato in questi due anni, sempre esplicito ed anche un po’ alterno nel rassicurare, ma anche nel mettere in guardia, la Patrizia Viola, virologa di Padova, divenuta una superstar in un crescendo anche estetico, diventata rapidamente tuttologa..  e tanti altri. Poi c’erano anche gli statistici, i fisici, gli epidemiologi, consultati in ogni angolo del mondo, sopratutto negli Usa, ma anche in Svizzera e in Germania, preparatissimi e capaci anche di sfornare statistiche aggiornate, come quelle puntualissime della Fondazione Gimbe.

Dipendenti in modo totale da quella comunicazione martellante, ma necessaria, nei primi mesi della Grande Tragedia, avevamo, quindi, la possibilità di mediare un po’ tra  ottimismo, pessimismo, realismo. E questo equilibrio era possibile trovarlo, andando avanti nel tempi duri di questi due anni, tra un’ondata e l’altra, con la sola pausa dell’estate del 2021 quando sembrava che l’incendio si fosse in qualche modo spento. Illusione, che l’ultimo inverno della ondata Omicron ha cancellato, spingendoci ancora nel tunnel dell’informazione forzata.

Quali pause abbiamo avuto, prima che l’ultima catastrofe si abbattesse sull’Umanità, in modo tanto duro e inatteso, forse ancor più del maledetto virus cinese? Forse la pausa tutta politica dell’elezione del presidente della Repubblica con la capriola Draghi-Mattarella…..Un respiro rispetto al bombardamento delle cifre e delle interpretazioni, mentre il vaccino fortunatamente dominava sempre di più la scena e le battaglie dei no vax diventavano tanto dure e incomprensibili, fino agli episodi indegni di minacce e di violenze ai sostenitori della salvezza vaccinale, in primis proprio Bassetti, ma anche molti   medici e  scienziati, saliti e mai discesi dalle ribalte mediatiche.

La guerra di Putin e l’incubo terrificante di un conflitto imprevisto, inatteso, capace di cambiare gli scenari dell’Umanità, probabilmente ancora di più della pandemia globale, alla fine contenuta dalla capacità della scienza, ha proiettato su questo schermo incessante della medialità personaggi molto meno tranquillizzanti e non solo perché si parla di guerra vera e non di guerra a un virus invisibile ancorchè tanto spesso letale.

Al posto dei medici, degli scienziati, degli statistici, dei tecnici sono comparsi sopratutto i generali. Una categoria che eravamo abituati a contemplare nei film di guerra o nelle battaglie della protezione civile o in zone lontane e non pericolose (per noi) del mondo o tutto al più contro la bestia del terrorismo. O in qualche conflitto terribile ma contenuto, come quello balcanico della fine anni Novanta o i blitz sulla Libia di Gheddafi. E i generali stanno riempendo gli schermi tv, impazzano nei talk show, vengono intervistati ovunque, lasciandoci innanzitutto stupefatti per il loro “aggiornamento” sull’emergenza che stiamo vivendo, di in conflitto alle porte di casa, che potrebbe coinvolgere anche noi, in una ipotesi che respingiamo ma che viene profilata ogni giorno. E i generali non sono mai tranquillizzanti, non sono mai “trasversali” nello loro diagnosi, nella lettura del campo militare che siamo obbligati a studiare spasmodicamente, con una paura che è ancestrale, che nascondevamo in noi stessi, che ritenevamo sepolta per sempre da qualche parte. I generali vivono di guerra, o di difesa dalla guerra, se vogliamo giudicarli nel modo più positivo. Ma quando li osserviamo in piedi, davanti a quella cartina, che mostra gli spostamenti delle truppe, i bombardamenti, i corridoi di avanzata e la dimensione degli assedi alle sciagurate città ucraine, quando, ancor peggio, li vediamo misurare le distanze delle truppe russe dai confini della Nato, che sono nostri, subiamo tutta la loro gelida preparazione al peggio, alle contromisure, alle deflagrazioni possibili.

E questo ci raggela. Perché non c’è via di fuga, come con il parere di un epidemiologo che pesa la trasmissibilità del virus. Non c’è trasmissibilità misurabile del virus della guerra, delle bombe, dei carri armati, dei cannoni, delle mine, dei droni. Quelli fanno il loro lavoro e la descrizione dei generali è quasi perentoria, inesorabile, senza via di scampo.  Non ascolteremo pareri “diversi”, ma probabilmente solo peggiori, mano a mano che l’escalation militare avanza. Per questo sommessamente, perché non vorremmo più ascoltare né gli uni, né gli altri, chiediamo: ridateci i virologi. L’unico generale che ci piaceva era Figliuolo, pur con tutte le mostrine in bella vista sotto il capello di Alpino con la penna nera. Lui la sua battaglia l’ha vinta, rassicurandoci e poi lavorando duro e inesorabile, in questo da vero militare, ma come un militare che porta la vita. Non come un programmatore di pericolosissime strategie, insomma di guerra.