GENOVA - Riprende stamane alla 10 dopo una settimana di pausa con l'audizione dei detective del primo gruppo della guardia di finanza che hanno svolto le indagini e i tecnici incaricati di intervenire sul viadotto il processo sulla tragedia di Ponte Morandi che il 14 agosto del 2018 ha provocato la morte di 43 persone e per cui ci sono alla sbarra 58 imputati fra cui i vertici di Autostrade per l'Italia e di Spea, la società che avrebbe dovuto monitorare le autostrade.
Per i finanzieri parleranno il maresciallo Vincenzo Andreone, fra i primi ad intervenire in Valpolcevera dopo il crollo, lui ha visto i primi cadaveri delle vittime, e poi il tenente colonnello Giampaolo Lo Turco, brianzolo, ora in servizio al comando di Verona ma allora il vice del comandante Ivan Bixio, il titolare delle indagini del primo gruppo Genova che invece sarà ascoltato nelle prossime udienze.
Nelle udienze ci sarà spazio anche per le intercettazioni telefoniche e ambientali svolte dai finanzieri.
Entro mercoledì saranno ascoltati i tecnici che negli anni '90 si sono occupati della manutenzione del ponte. Ingegneri che dovranno spiegare perché quasi trent'anni prima del crollo furono effettuati interventi di messa in sicurezza della pila 11, in parte della pila 10 e non invece della pila 9 che ha provocato la tragedia.
Fra di loro Alberto Lodigiani, che ha partecipato con una società di consulenza ai lavori della pila 11 del 1991 e 1992 per conto di Autostrade e che potrà aiutare a capire perchè non si era intervenuti allo stesso modo sulla 10 e soprattutto sulla 9.
Lodigiani in uno degli audio registrati di nascosto da Massimo Giacobbi, uno degli indagati, (responsabile del progetto di retrofitting sulla pila 11), il 5 luglio 2017 dice: “I sensori del ponte sono stati mangiati dai topi e senza controlli il calcestruzzo potrebbe esplodere.” Parole riferite in una riunione in cui era presente anche l’ex capo della manutenzione di Aspi, Michele Donferri Mitelli.
Sarà ascoltato anche l'ingegnere Francesco Pisani, primo allievo di Morandi e progettista dei lavori di rinforzo della pila 11 fatti negli anni '90, incaricato dal dirigente di Autostrade Donferri di monitorare la pile 10 e 9, quest'ultima però mai sottoposta a lavori di messa in sicurezza. Questo perchè, secondo l'accusa, Donferri preferì un ingegnere neolaureato che "rispondesse ai suoi ordini".
In aula si parlerà ancora anche delle recenti rivelazioni del teste delle parti civili Paolo Rugarli che in aula nelle scorse udienze ha svelato come l'ingegnere Emanuele Codacci Pisanelli, altro allievo di Riccardo Morandi che negli anni '90 partecipò ai lavori di rinforzo della pila 11 del viadotto Polcevera, ne fu poi anche lui estromesso dopo aver suggerito di fare gli stessi rinforzi anche sulle pile 9 e 10.
Pisanelli per questo è stato subito ascoltato dai pm e nelle prossime settimane comparirà in aula davanti ai giudici Lepri, Baldini e Polidori Pisanelli in qualità di testimone dell'accusa.
Rugarli e Pisanelli si erano scambiati diverse mail e quest'ultimo aveva confermato di essere stato nel gruppo che si occupò del restauro della pila 11 e di essersi accorto, tramite una analisi sperimentale, che c'erano problemi anche nelle altre due pile. Per tutta risposta gli venne detto che le prove riflettometriche (effettuate con impulsi elettrici e per molti inattendibili) erano a posto e non servivano ulteriori lavori, e per questo fu estromesso da Aspi.
Pisanelli fra l'altro in una missiva del 2019 aveva puntato il dito contro Pisani dicendo che la sua relazione sulle pile conteneva errori.
Pisani era stato sentito dagli investigatori quattro mesi dopo il crollo. Quel giorno aveva ricordato: "Negli anni 2010/2011 sono stato contattato telefonicamente da Autostrade (nelle persone di Donferri, Romagnolo e Malgarini) per fare un progetto relativo all'intervento di rinforzo strutturale degli stralli delle pile 9 e 10. Doveva essere analogo a quello eseguito negli anni '90 sugli stralli della pila 11. Di quel lavoro non se ne fece mai nulla".
Fra i testi anche Giorgio Nicolini, ingegnere del Politecnico di Milano, che nel 92 collaborò ai lavori del progetto di retrofitting sulla pila 11.
Insomma tanti testi sfileranno questa settimana sotto la tensostruttura del tribunale di Genova che con diverse partenze e riflessioni arriveranno a cercare di spiegare perché Autostrade e Spea non avviarono la messa in sicurezza della pila nove che ha provocato il collasso del ponte e la morte di 43 persone.
Una domanda per ora senza risposta accettabili, o forse come dicono i pubblici ministeri, con spiegazioni molto chiare: avevano sottovalutato il degrado degli stralli o, peggio, speravano di non chiudere il ponte per non perdere i soldi dei pedaggi, che solo per il viadotto della Valpolcevera disegnato dall'ingegnere Morandi portano nelle casse oltre dieci milioni di euro all'anno. Ma anche questa conclusione appare illogica perché per mettere in sicurezza la pila 9 non era necessario chiudere il ponte ma si poteva aprire un cantiere focalizzato sugli stralli ammalorati come era stato fatto per le altre due pile in cui in maniera diversa si era comunque intervenuto.
IL COMMENTO
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