GENOVA - Oltre un terzo degli anziani resta ricoverato tra i 5 e i 7 giorni in più del dovuto per la difficoltà a dimettere perchè non hanno un familiare a casa che si possa occupare di loro o perchè non trovano posto in una Rsa per questo in Liguria sono 320mila le giornate di ricovero inutili per una stima di spesa di 227 milioni. La denuncia arriva da Elena Barbagelata presidente federazione italiana medici internisti ospedalieri della Liguria.
"La survey condotta in 98 strutture indica che dalla data di dimissioni indicata dal medico a quella effettiva di uscita passa oltre una settimana nel 26,5% dei casi, da 5 a 7 giorni nel 39,8% dei pazienti, mentre un altro 28,6% sosta dai due ai quattro giorni più del dovuto - spiega a Primocanale la dottoressa Barbagelata - questo riguarda non solo le medicine interne che da sempre hanno gli ammalati più complessi e quindi più difficili anche da dimettere, ma riguarda oggi anche le altre strutture ospedaliere, quindi anche potenzialmente i reparti chirurgici. Questo si traduce inevitabilmente in un costo, diciamo improprio, del ricovero, perché un paziente che può essere dimesso non viene dimesso e resta in ospedale".
"La Liguria è una regione caratterizzata non solo da anziani ma addirittura da ultra anziani, con una quota di pazienti over 85 ricoverati oggi che è più del 40% nelle corsie ospedaliere considerando che una giornata di degenza costa circa 700 euro, i dati della Liguria sono che in pratica le giornate di degenza oltre il dovuto sono in media 320mila, questo porta a una spesa stimata di 227 milioni quindi dati allarmanti".
Da una parte il costo, dall'altra parte anche un problema che si riflette già nell'emergenza dell'emergenza del pronto soccorso perchè la difficoltà di dimissione per gli anziani si traduce in un ulteriore sovraccarico per il pronto soccorso già in affanno.
Quale può essere la soluzione?
"Soprattutto in una regione come la nostra di anziani la soluzione non può prescindere da una maggiore integrazione ospedale e territorio, quindi da un potenziamento di questa rete assistenziale che oggi deve essere appunto molto connessa con il territorio, devono forse aumentare le strutture residenziali cosiddette intermedie, quelle che fanno da cuscinetto tra il reparto per acuti e il domicilio o la struttura residenziale quindi strutture intermedie che possono aiutare la dimissione cosiddetta difficile di questi pazienti. Noi gestiamo proprio i cosiddetti pazienti complessi, considerate che nelle nostre corsie, in media, i pazienti hanno più di cinque patologie croniche associate quindi già da questo si capisce la loro complessità, ma in più hanno oggi anche queste problematiche socio assistenziali che rendono, oltre che complessi, fragili e quindi il nostro ruolo all'interno dell'ospedale è assolutamente fondamentale. Non c'è infatti ospedale che non abbia una medicina interna, proprio a ragione di questo".
Una problematica sociale peggiorata negli ultimi anni: "Decisamente è legata all'età, sicuramente, ma non solo, anche a motivi economici, culturali, economici che contraddistinguono ormai i pazienti cronici. I pazienti affetti da patologie sono spesso pazienti soli, lasciati soli per per vari motivi, anche proprio in ragione della loro complessità assistenziale, per cui a domicilio diventa difficile, per come sono organizzate oggi, per le famiglie, assistere e provvedere alla cura di queste persone molto malate. Quindi un problema, diciamo sociale e a tutto tondo, che riguarda appunto la nostra società moderna".
IL COMMENTO
"Breathe": la politica ha il dovere di ricordare i giorni del Covid
Il docufilm sul Covid, una lezione per la giunta che deve rifare la sanità