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di Franco Manzitti

È un dibattito tenuto un po’ sotto tono dalla comunicazione di oggi, che si fa affascinare da altri temi, da altri delitti e dimentica quelli più vicini. Luca Delfino, il genovese quarantenne, condannato per omicidio di Maria Antonietta Multari, assolto clamorosamente per l’omicidio di Luciana Biggi, definito 'il killer delle fidanzate', sta per uscire dallo stato di detenzione, dopo avere scontato solo 16 anni di carcere. Verrebbe affidato a una residenza protetta, il Rems di Prà, dove in previsione del suo arrivo hanno alzato le recinzioni e attrezzato altre misure di sicurezza tanta è la convinzione che questo personaggio contorto potrebbe tentare la fuga.

La storia di Delfino è un romanzo giallo dalla sua nascita, dalla sua difficile infanzia, dal suo passato recente, anche dai suoi comportamenti in carcere, dopo la assoluzione per l’omicidio della sua prima fidanzata, la Biggi e dopo la condanna per la seconda, la Multari, massacrata a coltellate a Sanremo. In prigione nel 2019 l’uomo è stato anche rinviato a giudizio per stalkeraggio e violenza e sempre lì avrebbe confidato di avere ucciso un detenuto in un altro carcere dove era rinchiuso. Quella morte era stata fatta passare per un suicidio. Con questo curriculum Delfino viene "liberato" e trasferito in questa residenza protetta, dove dovrebbe scontare altri sei anni in un regime meno duro di quello carcerario.

Le decisioni giudiziarie dei regimi di sorveglianza sono una materia delicata, che va rispettata, ma questa può sollevare molti dubbi e non solo per la condotta del personaggio, che era giunto anche a minacciare la madre della sventurata Maria Antonietta Multari. A Genova ricordiamo con precisione la vicenda di Maurizio Minghella, il ragazzo del 'Giro del vento', il 'travoltino' che si macchiò di cinque delitti di ragazze, uno dopo l’altro, nel 1978, terrorizzando la Valpolcevera. Lo arrestò la Squadra Mobile genovese, comandata dal mitico Mimmo Nicoliello e fu condannato all’ergastolo, rinchiuso a Porto Azzurro e poi a Torino. Nel 1997, quando era in semilibertà nonostante i suoi precedenti (aveva fatto il falegname in carcere e si era fatto notare per buona condotta), ricominciò a uccidere e sempre sfruttando quegli spazi di libertà massacrò con rituali terribili cinque prostitute, prima di essere di nuovo arrestato (da semilibero).

Minghella si macchiò dei nuovi delitti quasi venti anni dopo i primi. Poi c’è Lorenzo Bozano, che uccise la povera Milena Sutter nel 1971, una vicenda genovese recentemente rievocata dal bel libro di Graziano Cetara. 'Il biondino della spyder rossa' approfittò anche lui della semilibertà e venne riarrestato per molestie a una ragazza in un supermercato dell’Isola dell’Elba. Anche in questo caso sono passati decenni dalla vicenda di Milena. Cosa insegnano questi precedenti? Non è neppure il caso di dirlo, applicando la sequenza di queste vicende al caso oggi in ballo di Delfino. Come Minghella, Delfino ha avuto un’infanzia difficile, di violenze subite.

C’è una grande discussione in questi tempi sul valore delle pene inflitte, sulla 'capacità' del carcere di redimere, di convertire, sulla possibilità di recupero di chi porta sulle spalle fardelli tanto pesanti. Ma trasferire ora Delfino in un regime meno rigido non appare una scelta corretta, a meno che non si sia certi (e non lo si è), del suo recupero, del fatto che quell’istinto omicida si sia spento. Come non si era spento per Bozano e Minghella, sotto il peso degli ergastoli e dopo decenni di carcere.

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